Direzione




SNL SPORT LAW AND MANAGEMENT - Il blog ufficiale del Corso di Laurea Unisalento in Diritto e Management dello Sport

sabato 25 giugno 2022

Vincolo sportivo. Timide novità nella figc. Intervento di Domenico Zinnari*

 Con il Comunicato Ufficiale n.283/A  del 15 giugno 2022 la Federazione Italiana Giuoco Calcio ha disposto la modifica degli articoli 31, 32 e 32 bis delle N.O.I.F. ( Norme Organizzative Interne della F.I.G.C.) con decorrenza dall’1 luglio 2022.

Le modifiche introdotte incidono su alcuni peculiari profili del c.d. vincolo sportivo nell’ambito dilettantistico.

Nel dettaglio il primo intervento attiene l’art. 31 delle N.O.I.F. in tema di “Giovani”.

 La nuova stesura dell’articolo 31 precitato prevede che ‘Sono qualificati Giovani i calciatori e le calciatrici che abbiano anagraficamente compiuto l’ottavo anno e che all’inizio della stagione sportiva non abbiano compiuto il 16° anno”.

Il testo previgente individuava i calciatori e/o calciatrici con status di Giovani  in quei soggetti che avevano compiuto ”l’ottavo anno di età e che al 1° gennaio dell’anno in cui ha inizio la stagione sportiva non abbiano compiuto il 16° anno di età’.

La modifica normativa, come detto in vigore dall’1 luglio 2022  una specifica disciplina transitoria. Per la stagione 202/2023 le società di Puro Settore Giovanile ( ossia quelle che non siano associate alla Lega Nazionale Dilettanti)  potranno tesserare con vincolo annuale calciatori e/o calciatrici nati nel primo semestre del 2006.

Nella stagione sportiva 2023/2024  le dette società potranno tesserare con vincolo annuale calciatori e/o calciatrici nati nel primo semestre del 2007.


Significativa la modifica dell’art. 32 delle N.O.I.F. La nuova normativa prevede  lo “scorporo’ del comma 1 dell’articolo 32 che definisce i “Giovani Dilettanti”. I

La precedente disciplina, infatti, recitava: “I calciatori/calciatrici Giovani, dal 14° anno di età anagraficamente compiuto, possono assumere con le società di Lnd o della Divisione Calcio Femminile per la quale sono già tesserati, vincolo di tesseramento sino al termine della stagione sportiva entro la quale abbiano anagraficamente compiuto il 25° anno di età, acquisendo la qualifica di ‘Giovani Dilettanti”.

La nuova norma contenuta nell’art. 32 lett. a) , per contro, prevede che: “I calciatori/calciatrici che in corso di stagione compiono il 16° anno di età possono assumere con la società della Lnd o con le società di serie B della Divisione Calcio femminile per la quale sono già tesserati/e, vincolo di tesseramento sino al termine della stagione sportiva entro la quale abbiano anagraficamente compiuto il 24° anno di età, acquisendo la qualifica di ‘Giovane Dilettante’.

La successiva lett. b) inoltre prevede che‘I calciatori/calciatrici che al 1° luglio abbiano compiuto il 16° anno di età, assumeranno con la società di Lnd o con le società di serie B della Divisione Calcio femminile per la quale sono già tesserati/e, vincolo di tesseramento sino al termine della stagione sportiva entro la quale abbiano anagraficamente compiuto il 24° anno di età, acquisendo la qualifica di ‘Giovane Dilettante’.

In sintesi, pertanto, se anteriormente all’entrata in vigore della nuova  disciplina i calciatori e/o calciatrici  al compimento del 14° anno  in corso di stagione  potevano assumere  con società  della LND o della Divisione Calcio Femminile   il vincolo valido fino al 25° anno di età., con le modifiche introdotte,  sarà possibile assumere il vincolo  non prima del compimento del 16° anno  di età e si esaurirà nella stagione in cui il calciatore o calciatrice compirà il 24° anno.

In via transitoria  per la stagione 2022/2023 sarà consentito, per i calciatori/calciatrici nati nel primo semestre dell’anno 2006, assumere il vincolo anche per una sola stagione sportiva, al termine della quale saranno liberi/e di diritto.

Omologo “ meccanismo” è previsto per la stagione sportiva relativamente ai calciatori/calciatrici nati nel primo semestre dell’anno 2007.

 

L’ultima modifica, correlata e consequenziale a quelle precedentemente illustrate,  attiene l’art. 32 bis delle N.O.I.F.

Nel precedente testo, difatti, si stabiliva che: “I calciatori e le calciatrici, che, entro il termine della stagione sportiva in corso, abbiano anagraficamente compiuto o compiranno il 25° anno di età, possono chiedere nelle modalità previste, lo svincolo per decadenza’.

Secondo la nuova formulazione: “I calciatori e le calciatrici che entro il termine della stagione sportiva in corso abbiano compiuto o compiranno il 24° anno di età possono chiedere nelle modalità previste, lo svincolo per decadenza”.

Info link al Provvedimento 

 

**Avvocato Domenico Zinnari (nella foto sotto) del Foro di Lecce esperto di Diritto Sportivo

 


 

giovedì 5 maggio 2022

Sport e "diritti" in Italia e nel mondo di Luigi Melica (Bologna University Press)

Il volume approfondisce, ricorrendo alla comparazione giuridica, la pratica dello sport organizzato agonistico, amatoriale, dilettantistico e professionistico e si interroga sulla più corretta distribuzione delle competenze in materia, rispettivamente, tra ordinamento sportivo ed ordinamento statale. Occasione della ricerca è la contrapposizione avvenuta tra il Comitato olimpico internazionale e lo Stato italiano nel biennio 2019/2021, quando il Parlamento italiano aveva approvato una nuova legge delega sullo sport. Da lì, la ricerca indaga sulle regole della Carta olimpica e sulla loro forza e valore di legge all’interno degli ordinamenti internazionale/convenzionale e nazionale. Nelle conclusioni, ci si sofferma anche sul ruolo delle Federazioni internazionali e dello stesso Comitato olimpico internazionale nella geopolitica mondiale, soprattutto quando chiamati ad assumere decisioni difficili, spaziando dalla neutralità politica consacrata nella Carta, fino alla difesa dei valori olimpici di democrazia, non discriminazione, libertà di pensiero, parimenti ricompresi in essa.

 


 

03-05-2022: #fipavlecce - Attilio Pisanò, un ciclo di seminari tra sport...

03-05-2022: #fipavlecce - Camillo Placì, le competenze trasversali nello...

martedì 29 marzo 2022

MANCINI RESTA, COSI’ COME I PROBLEMI DEL CALCIO ITALIANO. INTERVENTO DI ANGELO BARNABA (Avvocato Stella d’Argento al merito sportivo)

E’ notizia di ieri il ripensamento di Roberto Mancini, che avrebbe deciso di non dimettersi più dopo aver fallito la qualificazione al Mondiale in Qatar. Resterà quindi C.T. della Nazionale, onorando il contratto sottoscritto nel maggio 2021 (scadenza 2026, 3 milioni di euro netti all’anno).

Una conclusione prevedibile e tutto sommato accettabile, soprattutto per la mancanza di alternative adeguate alla delicatezza dell’incarico: forse solo Ancelotti (mago nella gestione dei suoi team) e Gasperini (uno dei pochissimi capaci di proporre in Italia un’idea differente di calcio, più in linea con l’intensità richiesta a livello internazionale) potevano apparire soluzioni di profilo, ma difficilmente sarebbero stati subito disponibili.

A mio avviso Mancini ha sbagliato tante scelte, all’indomani del grande successo dello scorso luglio a Wembley. E tuttavia, crocifiggendo il C.T. dopo la mancata qualificazione, che fa il paio con quella di 4 anni fa (con Ventura in panchina), si sarebbe consumato null’altro che il consueto rito pagano: offrire, figurativamente, un sacrificio umano per espiare le colpe di tutti, attivando in quel modo un (penoso) meccanismo autoassolutorio da parte delle componenti maggiormente responsabili degli attuali risultati.

La verità è che vincere gli Europei, al culmine di una lunga striscia positiva, è stato come cogliere una rosa nel deserto. Perché solo di deserto si può parlare, in termini di risultati, per il calcio italiano negli ultimi 15 anni.
Al di la’ del fatto che non giocheremo il secondo Mondiale di seguito, in questo lunghissimo lasso di tempo le squadre di club hanno vinto una sola volta la Champions League, con l’Inter nel 2009/2010. Interessante ricordare con che formazione:
Julio Cesar; Maicon, Lucio, Samuel, Chivu; Zanetti, Cambiasso; Pandev, Sneijder, Eto’o; Milito. All: José Mourinho
Non un italiano nell’undici titolare, guidato da un tecnico portoghese.

Se parliamo di Europa League, per trovare l’ultimo successo di una squadra italiana dobbiamo andare indietro addirittura di 23 (ventitre!) anni: fu il Parma ad aggiudicarsi il trofeo, nella stagione 1998/99. Da allora più nulla, in una competizione che ha visto trionfare nel 2009 anche gli ucraini dello Shakhtar Donetsk, club di riferimento di quel Donbass che è proprio l’attuale epicentro del conflitto iniziato con l’invasione da parte della Russia poco più di un mese fa.

Forse basterebbe avere un po’ di memoria per rendersi conto che l’impresa eccezionale è stata vincere gli ultimi Europei e che il resto è null’altro che la (dolorosa ma ineluttabile) conseguenza di un sistema vecchio ed arroccato su sé stesso, che corre a larghe falcate verso il baratro dell’implosione.

I club sono quasi tutti pieni di debiti, ma malgrado questo sono pochi quelli che hanno sposato progetti sostenibili. Vale soprattutto per i massimi livelli, diventati facile preda per investitori stranieri, attratti dalla possibilità di fare shopping a prezzi di svendita… per fine attività. Ma in realtà, in qualunque categoria la sopravvivenza è legata – per la quasi totalità dei sodalizi – all’apporto diretto e continuo di qualche mecenate alla ricerca di emozioni/visibilità e/o intento a perseguire altri interessi economici, servendosi del calcio come strumento di penetrazione sociale.

Al netto di poche eccezioni, vetusti e impresentabili, e non solo per gli attuali standard internazionali, sono i nostri stadi, spesso privati finanche della manutenzione ordinaria ed abbandonati ai guasti dell’usura e del tempo.

La governance, che dovrebbe promuovere i necessari cambiamenti, appare a sua volta troppo datata per esprimere una vision di profilo moderno e troppo debole per imporre riforme strutturali. Le quali, per essere accettate da tutte le componenti, dovrebbero compendiare strategie win – win, elaborate facendo ricorso ad una progettualità ineccepibile e rigorosa, quasi scientifica nella pianificazione dei vantaggi sul medio/lungo termine.     
Quanto ai protagonisti in campo, dice molto il fatto che il giocatore icona della Serie A sia attualmente Zlatan Ibrahimovic, a 40 anni il volto più noto e ricercato dai grandi brand per pubblicizzare prodotti e servizi. Come del resto Giorgio Chiellini, 37 anni, altro super veterano. Mentre solo pochissimi club hanno il coraggio di investire seriamente sui migliori giovani talenti, lanciandoli nel nostro massimo campionato intorno ai vent’anni, come accade all’estero, in quella che è di sicuro una fase decisiva della loro carriera. Viceversa, molti di loro devono accontentarsi di giocare nel Campionato Primavera, anche quando militano in società che non lottano per vincere il campionato o accedere alla Champions League.

Quanto ai tifosi, manca il ricambio. Perché le nuove generazioni non riescono ad appassionarsi ad un prodotto così poco attrattivo: basta guardare le partite della Premier League per rendersi conto della differenza di velocità del gioco (che richiede maggiori abilità tecniche e qualità fisiche) e dell’adrenalina che produce negli spettatori, tenendoli avvinti. In Italia invece le gare sono esasperatamente tattiche, i ritmi bassi, le pause continue, anche per i tanti interventi dei direttori di gara: con queste premesse, è difficile conquistare un pubblico giovane, che viaggia su ben altri ritmi e frequenze.

Un cenno finale all’informazione sportiva: anche i grandi esperti e gli analisti che pontificano in TV sembrano ormai fuori tempo e le loro analisi spesso peccano di saccenteria ed autoreferenzialità. Tra pseudo virtuosi del linguaggio, alla perenne ricerca della frase ad effetto, ed iracondi “a comando”, per i quali i toni – sempre eccessivamente alti - che utilizzano per attirare l’attenzione ed attizzare la polemica sembrano contare molto di più dei contenuti.

In definitiva, il calcio italiano mi appare solo vittima di sè stesso e dei suoi atavici vizi, dai quali di tanto in tanto finge di voler guarire. Prigioniero della sua idea di grandezza, benchè sia ormai da tempo evaporata.
Ricorda un po’ Zeno, il personaggio dell’opera di Italo Svevo, e la frase iconica del romanzo di cui è protagonista: “Forse fu tale dubbio che mi legò al mio vizio, perché è un modo comodo di vivere quello di credersi grande di una grandezza latente”.


Angelo Barnaba
Avvocato
Stella d’Argento al merito sportivo 

 


 


Per Roberto Ghiretti “è il futuro che pilota il presente”

“Roberto Ghiretti è un gentiluomo dell’altro secolo” ha esordito con queste parole Giovanni Malagò in occasione del convegno “Lo sport, la più grande rete sociale del Paese: verso una moderna società sportiva” che si è tenuto a Roma, nel prestigioso Salone d’Onore del CONI, venerdì 15 ottobre. Ed ha continuato: “Ma quando poi ti siedi ad ascoltarlo mentre ti racconta idee e progetti, rimani affascinato dalla sua capacità di guardare al futuro, di immaginarlo da qui ai prossimi venti anni.”

Il presidente del CONI con la sua tradizionale oratoria, contrassegnata da paradossi e ossimori concettuali, non è andato molto lontano nel descrivere, in pochi tratti, Roberto Ghiretti, fondatore di SG Plus Ghiretti & Partners (che quest’anno, proprio in occasione del convegno, ha festeggiato i 20 anni di vita) e autore del libro “E’ il futuro che pilota il presente – Il ruolo della società sportiva nel territorio, tra idea e realtà” (Kriss editore, pg. 160, € 16,00).

CONTINUA SU SPORT 24H

 


 

giovedì 24 marzo 2022

Assegnato il primo premio “Passione e Formazione”, simbolo della collaborazione tra FIPAV e Università del Salento – Fipav Puglia Magazine

E’ stato assegnato ieri sera al capitano della Cuore di Mamma Cutrofiano, formazione campione territoriale U18 femminile, il primo premio “Passione e Formazione“, nato dalla collaborazione tra FIPAV e Università del Salento. La targa, consegnata dal Prof. Attilio Pisanò, Presidente del Corso di laurea in Diritto e Management dello sport dell’Università del Salento, è il simbolo del connubio tra Sport e Formazione che rappresenta in se l’obiettivo del riuscire a realizzarsi tanto nello Sport quanto nello studio e di conseguenza nel mondo del lavoro. Il percorso, avviato dal Comitato Territoriale FIPAV Lecce, che vede la Federazione Italiana Pallavolo al fianco dell’Università del Salento, ha già visto diversi momenti di affiancamento dalla presenza del tecnico della nazionale italiana Fefè De Giorgi in occasione della presentazione del progetto “Soft e Life Skills” al prossimo appuntamento di venerdì 8 aprile quando il campione del mondo Andrea Zorzi incontrerà gli studenti dell’Università del Salento per raccontare la pallavolo dalla Generazione dei Fenomeni ad oggi in quello che sarà il più ampio percorso “Sport come mezzo di..” che girerà la Puglia per raccontare la pallavolo come veicolo di valori.

CONTINUA QUI 

 


 

Lo sport in Costituzione

mercoledì 23 marzo 2022

Dal Salento all'Atalanta: segna e sogna Cissè. Intervista all’avvocato Roberto Nitto a cura di Andrea Tafuro giornalista di Nuovo Quotidiano di Puglia

 

 

Dal Salento all'Atalanta: segna e sogna Cissè. Intervista all’avvocato Roberto Nitto (nella foto sotto) a cura di Andrea Tafuro giornalista di Nuovo Quotidiano di Puglia 




 

 

martedì 8 marzo 2022

La rottura della tregua olimpica alla luce dei valori dell’Olimpismo. Intervento del Prof. Luigi Melica

Il precipitoso reveriment con il quale il Comitato internazionale degli sport paralimpici ha impedito agli atleti russi e bielorussi di partecipare alle gare che stavano per iniziare, imponendo loro, di fatto, di lasciare Pechino, rivela come la neutralità politica dello sport e la sua autonomia non possono considerarsi un valore assoluto. Per quanto, infatti, lo sport agonistico di alto livello sia prerogativa delle Federazioni sportive e dei Comitati olimpici cui sono affiliate, tuttavia, quando la grande maggioranza degli Stati in cui operano tali organismi adotta una decisione politica, i rispettivi organismi di governo dello sport, obtorto collo, devono adeguarsi. Ovviamente e sempre per definizione, decisioni simili non possono che adottarsi in presenza di fatti politicamente gravi e/o di comportamenti che ledono i principi-valori cristallizzati nella Carta olimpica.

È in questa cornice che si inquadra il provvedimento di esclusione del 3 marzo 2022 del Comitato Internazionale Paralimpico degli atleti russi e bielorussi presenti nei villaggi olimpici. Nella decisione, come spiegato dal Presidente Parsons, pur nella consapevolezza che sport e politica non devono mischiarsi – “[…] we are very firm believers that sport and politics should not mix” –  si osserva però che la guerra è entrata anche nei Giochi olimpici e le decisioni prese dai Governi impattano inevitabilmente su di essi – “[…] the war has now come to these Games and behind the scenes many Governments are having an influence on our cherished event”. Benché, quindi, non si siano verificati scontri tra gli atleti appartenenti alle delegazioni dei Paesi in conflitto, tuttavia, nei villaggi olimpici si percepisce una tensione sempre più crescente a causa dell’escalation del conflitto, al punto, si chiarisce, che diverse delegazioni hanno informato il Comitato che, qualora non si fossero esclusi gli atleti russi e bielorussi dalle gare, si sarebbero fatti ritirare i propri. Di conseguenza, nonostante la totale estraneità degli atleti russi e bielorussi a fatti riconducibili alla guerra, la loro presenza nelle gare avrebbe coinciso con il ritiro di quasi tutti gli altri e con molta probabilità sarebbe saltata l’intera competizione – “The IPC is a membership-based organisation, and we are receptive to the views of our member organisations”. La colpa non è dunque degli atleti, ma dei loro Governi. Dinanzi alla fermezza delle autorità degli Stati le cui delegazioni olimpiche erano presenti nel territorio sede delle gare (il Presidente non li nomina specificamente, ma dalle sue parole si comprende che si riferisce a numerosi Stati presenti alla competizione olimpica)[1], il Comitato Internazionale doveva quindi prendere atto che, in assenza di una esclusione degli atleti russi e bielorussi, non si sarebbero celebrati i Giochi paralimpici. Da un lato, dunque doveva tutelarsi la sicurezza degli atleti che soggiornano nei villaggi olimpici – “[…] and the situation in the athlete villages is escalating and has now become untenable– e dall’altro si doveva salvaguardare la realizzazione della stessa competizione sportiva – “With this in mind, and in order to preserve the integrity of these Games and the safety of all participants. Di qui, in conformità alla “costituzione” –  “[…] first and foremost, we have a duty as part of the Paralympic mission, enshrined in the constitution” –  le ragioni dell’esclusione dalle gare di tali atleti[2], ai quali, come detto, non poteva essere imputata alcuna responsabilità diretta, al punto che il Presidente Parsons si scusava con loro, addebitando ai rispettivi Governi la causa dell’esclusione – “[…] To the Para athletes from the impacted countries, we are very sorry that you are affected by the decisions your governments took last week in breaching the Olympic Truce”.  In definitiva, gli 83 atleti russi e bielorussi presenti nei villaggi olimpici erano vittime delle azioni dei loro Governi – “[…] you are victims of your governments’ actions”.

Trattasi di una decisione mai adottata nelle competizioni olimpiche, ma che, a onore del vero, scaturiva da un comportamento di uno Stato mai verificatosi in passato: da quando De Coubertin aveva restituito allo sport le gare olimpiche, infatti, mai uno Stato aveva violato apertamente la tregua olimpica. Che si fosse in presenza di tale situazione è del resto fuor di dubbio: da quando esistono gli sport paralimpici, infatti, le due competizioni, ossia le Olimpiadi e le Paralimpiadi, si sono susseguite con pochi giorni di distanza l’una dall’altra e si sono tenute nella stessa sede. Dunque, la competizione olimpica è unica. Colpisce, del resto, che lo stesso Presidente russo Putin, alcuni giorni prima, abbia addirittura presenziato alle competizioni olimpiche incontrando il Presidente cinese, attribuendo, quindi, grande importanza all’evento olimpico. Peccato che poi, ordinando l’invasione dell’Ucraina a distanza di pochissimi giorni dall’inizio delle Paralimpiadi, dimostrava di non attribuire alcun valore allo sport paralimpico. Già in passato, preme osservare, alcuni Governi avevano utilizzato l’arma del boicottaggio come forma di protesta, non inviando le proprie delegazioni alle gare olimpiche, stigmatizzando, così, i comportamenti e le azioni di altri Stati. Tuttavia, mai si era verificato che atleti già presenti ad una competizione olimpica, avessero dovuto abbandonare il villaggio perché i rispettivi Governi avevano dichiarato guerra ad un altro Paese. Nei Giochi olimpici di Melbourne iniziati il 22 novembre 1956, per esempio, le delegazioni di Spagna, Paesi Bassi e Svizzera decisero di non inviare i propri atleti in segno di protesta contro l’invasione dell’Ungheria da parte dell’Unione sovietica, ma in quel caso non era stata violata la tregua olimpica perché la guerra era stata rapidissima, essendo iniziata il 23 ottobre e conclusa il 4 novembre quando fu ricostituito un governo filosovietico diretto da János Kádár. Analogamente, l’invasione dell’Afghanistan, sempre da parte dell’Unione Sovietica, cui fece seguito il boicottaggio di 65 delegazioni (tra le quali, quelle di Stati uniti, Canada, Israele, Giappone, Cina e Germania Ovest) alle Olimpiadi di Mosca, non aveva violato la tregua olimpica essendo iniziata un anno prima (nel dicembre 1979).

Il caso in epigrafe è dunque unico. Anzi, è molto probabile che l’atto in sé di violazione della tregua olimpica attraverso un atto di guerra fosse inimmaginabile per i redattori della Carta olimpica al punto da non ritenere di dover inserire una norma espressa nel Testo. La spiegazione è plausibile: trattasi di un fatto talmente grave da non avere bisogno di tradursi in un divieto espresso: “rompere” la tregua olimpica invadendo un Paese si trasduce infatti nella “rottura” di tutto il “giocattolo” olimpico. A questa conclusione si perviene dalla lettura ed interpretazione teleologica della stessa Carta. Quest’ultima, autodefinendosi “a basic instrument of a constitutional nature”, si articola in 7 principi fondamentali (i primi articoli definiti, appunto, i Principi fondamentali dell’Olimpismo) seguiti da 61 regole a loro volta dettagliate in numerose disposizioni attuative (bye-laws). Essa, come tutte la Carte costituzionali statali, prevede un procedimento aggravato per la sua modifica (regola 18)[3] e, sempre sulla falsariga delle Costituzioni statali, identifica il suo “popolo”, ossia il Movimento olimpico, non solo in un motto – Citius ± Altius ± Fortius – ma anche in una bandiera. In altra sede (cfr. intervento del 28 febbraio scorso su questo blog), avevo osservato che la Carta, per queste sue caratteristiche, proprio come le Costituzioni statali, dovrebbe essere interpretata alla luce dei principi ivi contemplati, regolando le diverse fattispecie attraverso il bilanciamento degli uni con gli altri, non senza dimenticare che il fenomeno dell’Olimpismo deve però convivere con gli ordinamenti costituzionali dei Paesi democratici e con le convenzioni internazionali ratificate dalla maggior parte di essi.

Ebbene, nel caso in epigrafe, si deve anzitutto richiamare il principio fondamentale n. 5, il quale, dopo aver ribadito la centralità dello sport nella società, stabilisce che tutte le organizzazioni sportive aderenti al Movimento olimpico devono essere politicamente neutrali – “[…] shall apply political neutrality”. In correlazione a questo dovere, le Istituzioni ed i soggetti del Movimento olimpico hanno il diritto-dovere di autonomia, ossia di avere il totale controllo delle regole dello sport  - “[…] they have the rights and obligations of autonomy, which include freely establishing and controlling the rules of sport” –, determinando le rispettive strutture di governo nel rispetto dei principi di buon governo – “[…] enjoying the right of elections free from any outside influence and the responsibility for ensuring that principles of good governance be applied”. Tale principio, come già detto, è correlato alla regola 50 che rafforza il dovere di neutralità politica, vietando ai soggetti del Movimento olimpico di porre in essere ogni tipo di “dimostrazione politica” – “[…] or political, religious or racial in tutti luoghi dove si svolgono le competizioni sportive – “[…] in any Olympic sites, venues or other areas”.  Parimenti correlata a questo caso è la regola 6, che stabilisce che i Giochi olimpici sono competizioni tra squadre ed atleti e non tra Paesi – “[…] and not between countries” – e gli atleti, a loro volta, devono essere selezionati dai rispettivi Comitati olimpici (e non dagli Stati).

In questo quadro si inserisce la decisione adottata dal Comitato internazionale paralimpico. A tal fine, è anzitutto coerente domandarsi, non esistendo alcuna specifica norma che impone l’espulsione degli atleti i cui Governi hanno violato la tregua olimpica, quale sia la base giuridica della decisione adottata che avrebbe fatto venire meno il generale principio di neutralità politica. Quali sono le fonti giuridiche della esclusione degli atleti russi e bielorussi, posto che le Olimpiadi, come più sopra affermato, non sono competizioni tra Stati, ma tra atleti? Non sarebbe stato sufficiente inibire gli atleti russi e bielorussi dall’utilizzazione delle bandiere nazionali e dalla rappresentazione dei loro inni? La risposta è nelle stesse parole del Presidente Parsons. In forza della “costituzione” olimpica, ha affermato, il Comitato ha il “dovere” di “garantire e sovraintendere alla buona riuscita dei Giochi paralimpici”, i quali, a causa dell’escalation del conflitto, sono a rischio, sia per la “sicurezza” degli atleti che soggiornano nei villaggi sia per la minaccia di ritiro di quasi tutte le delegazioni presenti in Cina[4].  Preme osservare che ai sensi del principio fondamentale n. 2, la finalità dell’Olimpismo è quella di porre lo sport al servizio dello sviluppo armonioso dell’umanità, al fine di promuovere una società pacifica in cui sia preservata la dignità umana. Di conseguenza, è lampante che il principio di neutralità politica debba regredire se un Paese muove guerra ad un altro durante le Olimpiadi, in quanto il primo trasgredisce, prima di tutto, l’essenza stessa dell’Olimpismo. Le autorità di governo dello sport, in simili eccezionalissime circostanze, non possono che cedere alla “ragion di stato” derivante dalla decisione concorde di quasi tutti i Governi cui fanno capo le delegazioni presenti nella competizione olimpica: le Olimpiadi, infatti e per definizione, non hanno ragion d’essere se si è in guerra e se a causa di essa vi partecipano un numero risibile di atleti.



[1] Questo passaggio si ritrova nel comunicato: “Multiple NPCs, some of which have been contacted by their governments, teams and athletes, are threatening not to compete”.

[2] Ancora, nel comunicato: “[…] to guarantee and supervise the organization of successful Paralympic Games, to ensure that in sport practiced within the Paralympic Movement the spirit of fair play prevails, violence is banned, the health risk of the athletes is managed and fundamental ethical principles are upheld”.

[3] Art. 18 Carta olimpica: “The quorum required for a Session is half the total membership of the IOC plus one. Decisions of the Session are taken by a majority of the votes cast; however, a majority of two-thirds of the votes cast is required for any modification of the Fundamental Principles of Olympism, of the Rules of the Olympic Charter, or if elsewhere provided in the Olympic Charter.

[4] Anche se, preme osservare, non è incongruo affermare che tra gare olimpiche e gare paralimpiche non possa esserci per definizione discontinuità temporale, posto che le seconde seguono sempre a distanza di pochi giorni dalla fine delle prime.

 

*Prof. Luigi Melica (nella Foto) 

 


 

sabato 5 marzo 2022

IPC to decline athlete entries from RPC and NPC Belarus for Beijing 2022

IPC to decline athlete entries from RPC and NPC Belarus for Beijing 2022: - Multiple NPCs, teams and athletes now threatening not to compete, jeopardising the viability of the Beijing 2022 Paralympic Winter Games, - Situation in the athlete villages is escalating and ensuring the safety of athletes has become untenable

lunedì 28 febbraio 2022

Neutralità politica e solidarietà al popolo ucraino nell’applicazione ed interpretazione della Carta olimpica. Intervento Prof. Luigi Melica*

In modo lapidario il vertice dello sport mondiale, l’Executive Board del CIO, ha esortato le Federazioni internazionali dello sport che ai sensi dell’art. 1 della Carta Olimpica fanno parte del Movimento olimpico a spostare o cancellare gli eventi sportivi che si sarebbero dovuti tenere in Federazione russa o in Bielorussia (“the IOC EB today urges all International Sports Federations to relocate or cancel their sports events currently planned in Russia or Belarus”). Non solo: nelle restanti competizioni sportive, l’organo di governo ha sollecitato le Federazioni a non permettere l’utilizzo delle bandiere di tali Paesi né a suonare i rispettivi inni nazionali. Al di là della gravità dell’intervento armato, sul piano dei valori dell’Olimpismo, la Russia ha anche violato la tregua olimpica in quanto il 4 marzo iniziano a Pechino le Paralimpiadi. In generale, il Presidente Putin attribuisce molta importanza alle competizioni olimpiche: prova ne sia che alcune settimane fa ha addirittura presenziato a quelle cinesi, ricevuto dal Presidente cinese Xi Jinping. Con molta probabilità, quella missione era servita a Putin per informare di persona il Presidente cinese degli eventi imminenti al fine di ricevere sostegno o comunque non ostilità. Molto meno importanti, evidentemente, sono per il Presidente russo, i Giochi paralimpici che stanno per iniziare. Il CIO, dunque, ordinando l’isolamento sia della Russia che della Bielorussia, ha considerato l’intervento armato ordinato dalla Federazione russa in territorio ucraino non come una questione di politica interna. Pertanto – e opportunamente - il principio fondamentale n. 5 della Carta olimpica che impone ai soggetti del Movimento olimpico la “neutralità politica” è stato considerato cedevole rispetto ai principi consacrati nell’ art. 2 della stessa Carta che mettono lo sport al servizio dello sviluppo armonioso dell’umanità per promuovere una società fondata sulla pace, preservando la dignità umana. Difatti, dopo il comunicato del CIO, le cancellazioni o spostamenti si sono susseguiti a raffica, a partire dalla finale di Champions di calcio spostata da San Pietroburgo a Parigi, a seguire con il gran premio di Formula 1 che si doveva tenere a Sochi il prossimo settembre. Molto probabilmente, infine, anche i Mondiali di pallavolo non saranno disputati in Russia come previsto. Non solo, ma in un intervento pubblicato oggi su questo stesso blog, l’avv. Angelo Barnaba si sofferma sulle decisioni adottate anche dall’Eurolega di basket che, come è noto, è una lega privata e non è vincolata dalle decisioni adottate dalla Federazione internazionale del basket e quindi dal CIO. Opportunamente, ogni gara tra squadre europee e squadre russe che si sarebbe dovuta disputare in territorio russo è stata spostata per dare modo a queste ultime di parteciparvi e ciò in nome di un principio generale ricavabile dalla stessa Carta olimpica secondo il quale le gare olimpiche sono competizioni tra atleti e squadre e non tra Stati (regola 6

Ma vi è di più: in questa occasione, le Istituzioni sportive non hanno vietato le manifestazioni di protesta contro la Russia e di solidarietà con il popolo ucraino espresse in modo plateale nei luoghi dove si pratica lo sport e, dunque, in violazione dell’art. 50 della Carta Olimpica. Ai sensi di quest’ultima, infatti, i soggetti del Movimento olimpico non possono porre in essere alcun tipo di “dimostrazione politica” in tutti luoghi in cui si svolgono le competizioni sportive (“in any Olympic sites, venues or other areas”).  Di conseguenza, nonostante la Federazione italiana del basket, in risposta alla suggestione del coach della Nazionale Sacchetti - “ci tingeremo la faccia con i colori dell'Ucraina” –, dopo avere chiesto alla Federazione internazionale l’autorizzazione a solidarizzare con il popolo e lo Stato ucraino, concedeva unicamente alle squadre di indossare una maglia bianca ed un minuto di silenzio, la protesta si è manifestata aggiungendo, sulle maglie bianche, la striscia azzurra, segnando inequivocabilmente l’adesione ad una delle parti in guerra, ossia all’Ucraina. In tutta Europa, più in generale, si è solidarizzato in modo plateale a favore dello Stato ucraino. Nella Bundesliga, per esempio, i calciatori di alcune squadre si sono abbracciati in segno di solidarietà all’Ucraina aprendo, subito dopo, uno striscione colorato con i simboli della bandiera ucraina con la scritta “stop alla guerra”. In alcuni stadi tedeschi, l’appello alla pace è stato diffuso, sia con la raffigurazione di una colomba appesa pubblicamente sugli spalti, sia, sempre sugli spalti, appendendo un quadro con cinque persone che si tengono per mano con quella al centro colorata con i colori dell’Ucraina. Nella Premier League che pure, come l’Eurolega, è una lega privata non collegata ad alcuna federazione appartenente al Movimento olimpico – prima della partita Everton-Manchester City, a dispetto della regola della neutralità politica, le due squadre hanno fatto ingresso in campo con una maglia bianca con stampata la bandiera Ucraina. Ma vi è di più: come segno del destino il 27 febbraio si è disputata nello stadio di Wembley la finale della Carabao Cup tra Liverpool e Chelsea. Il Presidente russo del Chelsea Abramovich, evidentemente presagendo cosa sarebbe avvenuto, rimetteva tutte le deleghe societarie: giusto in tempo per togliersi dall’imbarazzo di vedere il pubblico di entrambe le squadre solidarizzare con il popolo ucraino esibendo la bandiera nazionale di quello Stato, mentre nello stadio veniva affisso un cartellone di enormi dimensioni colorato di bianco e azzurro con la scritta: “Football stands together”.  

(I lettori possono vedere i video dei fatti richiamati nella seguente pagina web

https://www.goal.com/en/news/premier-league-clubs-solidarity-ukraine-russia-invasion/blt6bf5b7dd33f8573a

https://twitter.com/ESPNFC/status/1497974756120817664).

Chi scrive è consapevole che il caso in esame – la guerra sferrata dallo Stato russo – è diversissimo rispetto ad episodi del passato ed è di gravità inaudita rispetto ai valori dello sport contrassegnati nella Carta olimpica. Tuttavia, in futuro sarà sempre più difficile, anche dinanzi ad azioni politiche di un Paese meno gravi, ma sempre lesive dei principi e delle regole contenute nella Carta olimpica, impedire agli atleti di solidarizzare con le vittime delle azioni politiche in modo plateale. Ciò si verificherà, nonostante i vertici dello sport internazionale continueranno a non autorizzare tali forme di protesta in forza della citata regola n. 50.

Chi scrive ritiene che la Carta olimpica, proprio perché si autodefinisce “a basic instrument of a constitutional nature” e proprio perché contiene una serie di principi fondamentali che precedono le regole più specifiche, esattamente come le Costituzioni statali, dovrebbe essere interpretata alla luce dei diversi principi ivi contemplati, bilanciando gli uni con gli altri in relazione alle diverse fattispecie concrete, senza però dimenticare che il fenomeno dell’Olimpismo deve convivere con gli ordinamenti costituzionali dei Paesi democratici e con le convenzioni internazionali ratificate dalla maggior parte di essi. In questa prospettiva, è lampante che accanto all’autonomia ed indipedenza dello sport e delle sue Istituzioni che devono essere ammessi e riconosciuti da tutti gli ordinamenti statali, esistono comunque i diritti degli atleti ed in particolare la loro libertà di pensiero, la quale è certamente peculiare, posto che una dichiarazione diffusa sui media e sui social di uno sportivo di fama mondiale - nel bene o nel male - ha una risonanza enorme, quasi globale. Del resto, sono spesso gli stessi Governi a chiedere agli atleti di fama nazionale e mondiale di farsi promotori dei principi giuridici fondamentali attraverso gli spot istituzionali. Di conseguenza, è difficile poi, anche sul piano dell’interpretazione giuridica, vietare ad un atleta di manifestare platealmente contro l’aggressione a quegli stessi valori anche in casi meno gravi della guerra lanciata dalla Russia, ma pur sempre lesivi dei diritti umani. Ciò è ancor più vero se si pensa che la stessa Carta olimpica non è indifferente ai principi fondamentali dell’eguaglianza, della non discriminazione e dei diritti delle persone vulnerabili, ma considera tali principi parte integrante della mission dell’Olimpismo. Di per sé, quindi, anche ai sensi di tale Carta è quanto meno azzardato attribuire un valore assoluto alla neutralità politica di cui al principio n. 5 e all’art. 50 della stessa. Complessivamente, il CIO e le diverse Federazioni possono anche non autorizzare espressamente certe azioni o comportamenti in nome della neutralità politica, ma alla fine devono tollerare le reazioni individuali degli atleti, come quella del campione di calcio Lewandowski che è entrato in campo indossando una fascia con i colori dell’Ucraina. Problemi simili si sono avuti anche  durante gli ultimi Europei di calcio, quando al divieto intimato dall’UEFA al Comune di Monaco di Baviera di illuminare lo stadio con le luci dell’arcobaleno prima della partita tra Ungheria e Germania in segno di solidarietà alle minoranze transgender ed a quelle omosessuali lese da una legge approvata dal Parlamento ungherese, sono seguite diverse manifestazioni individuali da parte degli atleti, non ultima, quella del portiere tedesco Neuer che entrava in campo indossando una fascia di colore arcobaleno, violando il richiamato art. 50. Non può inoltre sottacersi, a dispetto della motivazione con la quale l’UEFA aveva vietato l’illuminazione dello stadio – “una delle due squadre rappresenta proprio lo Stato ungherese” – che come afferma la stessa Carta, nelle gare sportive, non ci sono Paesi contrapposti, ma solo atleti o squadre. Dunque, il CIO dovrebbe sempre e comunque tutelare gli atleti anche dinanzi alle politiche lesive dei principi contenuti nella Carta olimpica adottate dagli Stati di appartenenza degli atleti. Se non opera in tal senso o se vieta certe manifestazioni, ottiene l’effetto opposto. Come non ricordare quanto avvenuto nel 2013, durante i Mondiali di atletica leggera di Mosca, quando le autorità sportive rimasero silenti dinanzi ad una legge adottata alcuni mesi prima dal Parlamento russo che aveva discriminato i diritti delle persone omosessuali? In quell’occasione, la Federazione dell’atletica leggera intimò alla saltatrice in alto svedese, Emma Green-Tregaro, di togliersi lo smalto con le tonalità dell’arcobaleno che si era stesa il giorno prima in segno di solidarietà alle comunità omosessuali. Tale discutibile forma di rigidità non sortiva gli effetti sperati, considerato che proprio le staffettiste russe vincitrici della medaglia d’oro, con grande coraggio, durante la premiazione, davanti alle telecamere di tutto il mondo, decisero di baciarsi sulle labbra in segno di solidarietà con le minoranze lesbiche.

Il diritto dello sport, come si evince da queste brevi riflessioni, non è di semplice applicazione ed interpretazione. Come riferito più sopra, accanto all’ordinamento sportivo, internazionale e nazionale, esistono gli ordinamenti statali ed il diritto internazionale e convenzionale, che offrono una tutela rafforzata alle libertà di opinione, di riunione e di associazione e che non tollerano menomazioni di tali diritti, soprattutto se le opinioni mirano a chiedere tutela a favore di principi/valori costituzionali altrettanto importanti violati dagli Stati. La “neutralità politica”, dunque, va applicata interpretando la Carta olimpica, bilanciando i valori in essa consacrati.

*Prof. Luigi Melica (nella Foto) 



LA GUERRA IN EUROPA E LE PRIME REAZIONI NEL MONDO DELLO SPORT. INTERVENTO AVV. ANGELO BARNABA

La finale di Champions League del prossimo 28 maggio si disputerà a Parigi e non più a San Pietroburgo, per decisione dell’UEFA. Che ha anche stabilito che le gare di squadre di club russe ed ucraine saranno giocate in campo neutro.

La FIA, dal canto suo, ha già cancellato il Gran Premio di Sochi del 25 settembre.

Più in generale, è l’intero sport mondiale che a seguito degli eventi degli ultimi giorni ha deciso di prendere una posizione netta nei confronti della Russia di Putin.

Il CIO ha esortato tutte le Federazioni Sportive Internazionali a trasferire o annullare i loro eventi attualmente programmati in Russia o Bielorussia e dare priorità assoluta alla sicurezza ed alla protezione degli atleti. 

Insomma, questi primissimi giorni di conflitto hanno già scosso il mondo dello Sport in modo violento, evidenziando una volta di più le sue mille connessioni con la geopolitica e l’economia.

Le conseguenze dell’eventuale protrarsi di questa situazione sono naturalmente, allo stato, del tutto imprevedibili. Il terremoto creato dall’invasione dell’Ucraina è stato di una magnitudo finora sconosciuta e proprio per questo potrebbe generare, nella peggiore delle ipotesi, tanti tsunami altrettanto pericolosi e distruttivi degli equilibri precedenti. Ai quali peraltro, per dirla tutta, aveva già attentato pesantemente la pandemia: ed è proprio per questo che gli effetti di questo nuovo shock potrebbero essere devastanti.

Uno dei maggiori club calcistici inglesi, il ricchissimo Chelsea, potrebbe cambiare l’attuale proprietà (russa: l’oligarca Abramovich è considerato da sempre vicino a Putin).

Nel basket, in Euroleague giocano due squadre russe: il potentissimo CSKA Mosca e l’altrettanto ambizioso Zenit di San Pietroburgo. Con la necessaria tempestività, l’Eurolega ha deciso che le squadre russe in corsa nella competizione dovranno giocare in campo neutro. E così, le partite programmate per essere giocate sul suolo russo saranno spostate in altre sedi al di fuori della Russia, mentre le partite che coinvolgono squadre russe, ma programmate per essere giocare in altri paesi, continueranno a svolgersi come da programma.

L’Eurolega ha deciso in tal senso con l’obiettivo di tutelare l’integrità della competizione e consentire alle squadre di continuare a difendere il proprio diritto a gareggiare in campo, isolando lo sport da qualsiasi azione politica. E, nel contempo, per proteggere l'integrità di giocatori, allenatori, tifosi e staff, evitando che possano correre rischi.

Una decisione senz’altro condivisibile, alla luce di tutti gli interessi in gioco in quella che è diventata – a tutti gli effetti - la massima espressione del basket europeo a livello di club. Ed è singolare osservare come anche in questa triste occasione la storia, come teorizzava già secoli fa il filosofo napoletano Giambattista Vico, dopo aver fatto un giro immenso (purtroppo) ritorni.

Infatti, chi scrive lo ricorda bene per aver vissuto la stagione 1991 – 92 da Team Manager della Phonola Caserta Campione d’Italia, nell’allora Coppa dei Campioni, la FIBA decise che le squadre croate e serbe avrebbero dovuto eleggere la sede delle loro gare interne al di fuori dei confini nazionali. Scelsero, curiosamente, tutte e tre di giocare in Spagna. La “mia” Caserta incrociò le due croate e giocammo con la Spalato di Zan Tabak a La Coruna e con il Cibona Zagabria a Cadice, in Andalusia. Il Partizan Belgrado, allenato dell’allora giovane esordiente coach Obradovic, stabilì invece di giocare a Fuenlabrada, città situata nell’area metropolitana di Madrid. Da lì partì una grande storia di Sport, che terminò addirittura con la sorprendente conquista del massimo trofeo continentale, ottenuta contro ogni pronostico da un manipolo di ragazzi terribili.

Si trattò di un vero e proprio “fiore” sportivo, nato nel deserto di un conflitto sanguinoso e terribile, come tutte le guerre sanno essere.

 


 

giovedì 24 febbraio 2022

"C'è una cosa a cui una donna non deve rinunciare se lo vuole ed è diventare madre". Intervento dell'Avv. Francesca Semeraro*

"C'è una cosa a cui una donna non deve rinunciare se lo vuole ed è diventare madre".

Oggi più che mai, è importante dare una risposta a questa domanda: è possibile per una donna atleta conciliare il diritto alla maternità con la carriera sportiva?

Spesso è accaduto e forse accade ancora oggi che per le nostre atlete la maternità non è certamente un sogno ed un diritto facile da realizzare e le notizie giunte negli ultimi anni confermano questa situazione, purtroppo, difficile da scalfire.

Quante come Carli Lloyd o Lara Lugli?

La prima, palleggiatrice e capitana di Casalmaggiore accusata e insultata sui social dai tifosi per una sola "colpa", sì, quella di essere incinta o Lara Lugli, rea per aver sottaciuto, al momento della sottoscrizione del contratto con la società di Pordenone, la sua volontà di diventare mamma.

La storia di Lara è venuta alla ribalta nel 2021, dopo la pubblicazione di un post sul proprio profilo Facebook, con il quale la pallavolista denunciava la risoluzione del contratto per "comprovata gravidanza" avvenuta immediatamente dopo aver comunicato alla controparte il proprio stato interessante, seppur non portato a termine a causa di un aborto spontaneo.

Purtroppo, una prassi ormai consolidata nel mondo dello sport femminile è l'utilizzo delle c.d. "clausole antimaternità" sottoscritte dalle giocatrici in sede contrattuale, attraverso le quali una donna è costretta a dichiarare, se vuole lavorare, la mancata volontà di avere figli, rimanendo altrimenti fuori dai giochi.

La questione che emerge è di estrema importanza perché oltre a porre l'accento sulla legittimità o meno delle già menzionate clausole, in contrasto con l'art. 31 della Carta Costituzionale, rileva anche un secondo problema e cioè quello relativo alla mancata qualificazione delle atlete come professioniste, rimanendo, pertanto, prive di qualsivoglia tutela.

A tal riguardo, un importante intervento si è avuto con l'approvazione della Legge di Bilancio 2018, con cui è stato istituito il Fondo Maternità, rifinanziato per il triennio 2019-2021, grazie al quale si prevede l'erogazione di un contributo fino ad un massimo di 1000 euro da parte dell'Ufficio dello sport, assicurando così all'atleta la propria continuità retributiva anche durante il periodo di congedo di maternità.

Sostegno fortemente voluto anche dalla Federazione Italiana Pallavolo (Fipav), come dichiarato dal Presidente Giuseppe Manfredi, rimarcando così l'intenzione di porre rimedio ad una tematica sempre più attuale.

Ed infatti, a partire dal 1° gennaio 2022 la Fipav eroga in favore delle atlete in gravidanza e delle neomamme che accedono al Fondo "La maternità è di tutti", sussistendone i requisiti, un sussidio di euro 500,00, che, affiancato a quello riconosciuto mensilmente dall'Ufficio dello sport pari ad euro 1000,00 e sino ad un massimo di 10 mensilità, assicura alle atlete la continuità retributiva durante il periodo della gravidanza ed in quello immediatamente successivo alla nascita dei figli.

Pertanto, come anticipato in precedenza possono accedere al fondo le atlete che, al momento della presentazione della domanda, soddisfino la contemporanea sussistenza dei seguenti requisiti: l'attuale svolgimento in forma esclusiva o prevalente di un’attività sportiva agonistica riconosciuta dal Coni; l’assenza di redditi derivanti da altra attività per importi superiori a 15.000,00 euro lordi annui; la non appartenenza a gruppi sportivi militari o ad altri gruppi che garantiscono una forma di tutela previdenziale in caso di maternità; l’assenza di un’attività lavorativa che garantisca una forma di tutela previdenziale in caso di maternità; il possesso della cittadinanza italiana o di altro paese membro dell’Unione Europea oppure, per le atlete cittadine di un paese terzo, il possesso di permesso di soggiorno in corso di validità e con scadenza di almeno sei mesi successiva a quella della richiesta.

Inoltre, le linee guida prevedono alternativamente l’esistenza di ulteriori requisiti che soddisfino  l'esistenza di una delle seguenti situazioni, come l'aver partecipato negli ultimi cinque anni a una olimpiade o a un campionato o coppa del mondo oppure a un campionato o coppa europei riconosciuti dalla federazione di appartenenza oppure l'aver fatto parte almeno una volta negli ultimi cinque anni di una selezione nazionale della federazione di appartenenza in occasione di gare ufficiali e l'aver preso parte, per almeno due stagioni sportive compresa quella in corso, a un campionato nazionale federale.

L’erogazione del contributo soggiace ad un’ulteriore condizione che prevede da parte dell’atleta l’interruzione della propria attività agonistica, a partire dalla fine del primo mese di gravidanza e non oltre la fine dell’ottavo.

Infine, le linee guida al punto 3 individuano le ipotesi di decadenza del contributo, stabilendo che lo stesso venga meno in due specifiche circostanze e, dunque, in ogni caso nel momento in cui l'atleta riprenda l'attività agonistica oppure in caso di interruzione di gravidanza, fermo restando il diritto alla percezione del contributo, questo permane fino alla ripresa dell’attività agonistica e comunque per non più di 3 mesi. Quindi, al verificarsi di queste due situazioni l'atleta è tenuta a dare immediata comunicazione al competente Ufficio per lo Sport, stante le conseguenze penali, civili ed amministrative previste dalla legge per indebita percezione del contributo di maternità.

Alla luce dell’analisi effettuata, è importante evidenziare come il supporto della Federazione Italiana Pallavolo abbia rappresentato un enorme passo in avanti per le donne atlete che decidono di affrontare un momento indimenticabile della vita di una donna, semplificando la gestione di una situazione spesso non scevra di difficoltà.

Federazione che, come riportano i dati rilevati per la stagione sportiva 2018-2019, vanta un significativo numero di atlete tesserate, 199.152 sono le atlete aventi una fascia di età compresa tra i 6 e i 17 anni, 32.891 quelle tra i 18 e i 26 anni, 8.097 le atlete di età tra i 26 ed i 30 anni, mentre 6.901 quelle over 30.

Certamente, merita menzione la notizia giunta alla ribalta in questi ultimi giorni riguardante l’assunzione da parte di un imprenditore fiorentino di una donna di 27 anni “anche se incinta” , ciò dovrebbe portarci a riflettere sulla gravidanza come situazione di normalità e non come un ostacolo alla realizzazione della donna, qualsiasi ruolo essa svolga.

In conclusione, sia nel contesto sportivo che al di fuori di esso si può, dunque, parlare di un processo di apertura nei riguardi di un tema importante per tante donne qual è sicuramente il diritto alla maternità senza alcuna limitazione?

 

*Avv. Fipav Francesca Semeraro - Studentessa iscritta al 2 anno del corso di laurea in “Diritto e Management Dello Sport” presso l’Università del Salento

 


 

 

 

 

martedì 15 febbraio 2022

Kamila Valieva riammessa alle Olimpiadi dopo il caso doping: era positiv...

ASD E NUOVI OBBLIGHI CONTRITRIBUTIVI - Intervento dell’Avv. Giovanni Di Corrado

Nell’ambito della sua funzione di nomofilachia, la Corte di Cassazione ha pubblicato nel periodo natalizio una serie di sentenze che, con motivazioni sostanzialmente omologhe nell’impianto, affrontano la vexata quaestio della soggezione a contribuzione previdenziale dei rapporti tra istruttori e società o associazioni sportive dilettantistiche. Tali decisioni risultano univoche e conformi nel ritenere che, in presenza di una attività sportiva dilettantistica svolta a titolo oneroso, con continuità e in maniera professionale, i compensi sportivi dilettantistici di cui all’art. 67, co. 1, lett. m), Tuir non possano essere riconosciuti. Si tratta, insomma, di una riflessione articolata, preceduta da ampio excursus in ordine all’evoluzione normativa in subiecta materia, circa i limiti di applicazione della predetta norma e dei suoi effetti eccettuativi anche rispetto all’obbligo contributivo previdenziale.

Prima di questa monolitica giurisprudenza, infatti, l'orientamento maggioritario sembrava riconoscere una sostanziale “comfort zone” di favore al mondo dello sport dilettantistico basata sulla sua tipica funzione socio-educativa che il legislatore gli avrebbe riconosciuto, tanto da potere ritenere il lavoratore sportivo dilettantistico come figura speciale e terza rispetto agli ordinari criteri di lavoro subordinato o autonomo previsti dal c.c. o dalla vecchia l. n. 91/1981 sul professionismo.

In questo caso, invece, il Collegio, dopo aver ricordato la disciplina dello sport professionistico e la scelta verso la subordinazione per presunzione legislativa, punta a distinguere la prestazione sportiva dilettantistica inquadrata come attività a carattere ludico da quella svolta nell’ambito di una prestazione sinallagmatica a carattere lavorativo, smentendo definitivamente la tesi che inquadrava il lavoro sportivo dilettantistico come norma speciale e fattispecie dotata di terzietà rispetto ai criteri ermeneutici del lavoro autonomo o del lavoro subordinato. D’altra parte, lo stesso d. lgs. n. 36/2021, i cui effetti decorreranno dal 31 dicembre 2022, esclude la tipizzazione del rapporto ribadendo la tesi, condivisa dalla Cassazione, che la prestazione dello sportivo dilettante va verificata alla luce dei principi generali del diritto del lavoro (quindi non più come fattispecie autonoma o atipica).

 Quali, dunque, i requisiti che dovranno avere i sodalizi sportivi dilettantistici per ritenersi esenti dagli obblighi contributivi in favore dei propri collaboratori sportivi?

In prima battuta occorrerà dimostrare l'effettiva natura dilettantistica dell'ente che non potrà avvenire in via meramente formale e, cioè, in base alle clausole statutarie o all'effettiva affiliazione ad una Federazione sportiva, disciplina associata o ente di promozione sportiva riconosciuta dal Coni, bensì in via sostanziale attraverso il concreto ed operativo svolgimento di attività sportiva senza fine di lucro.

In secondo luogo, sarà necessario provare - per il contribuente - che chi percepisce il compenso sportivo lo faccia in maniera non professionale. Chi fa sport per diletto o passione, perciò, potrà beneficiare del regime di favore dei redditi diversi e, quindi, non essere soggetto a contributi previdenziali a differenza di chi, invece, presta la propria prestazione sportiva in via abituale e stabile, indipendentemente dal settore di riferimento e dalla tipologia di contratto.

Da ultimo, i Giudici di Piazza Cavour introducono un ulteriore criterio ai fini della suddetta esenzione, ovvero che le prestazioni sportive debbano essere svolte dal collaboratore nell'esercizio diretto di attività sportive dilettantistiche che, come tali, devono essere rese «in ragione del vincolo associativo esistente tra il prestatore e l'associazione o società dilettantistica, restando esclusa la possibilità che si tratti di prestazioni collegate all'assunzione di un distinto obbligo personale».

Se la prima parte del periodo risulta avere un connotato pressoché pacifico e condiviso poiché riferibile a tutte le quasi quattrocento discipline riconosciute nell'elenco stilato dal Coni nel 2016 che, ora, verrà ampliato in virtù delle definizioni introdotte dal testo di riforma, è il successivo inciso a destare qualche dubbio interpretativo. Non è chiaro, infatti, se la Suprema Corte abbia voluto intendere come “vincolo associativo” quello del tesseramento di atleti e tecnici, oppure addirittura anticipare la figura del c.d. “amatore” contenuta nella riforma dello sport (d.lgs. n. 36/2021), così da distinguerlo da quello del lavoratore sportivo a cui andranno, invece, ad applicarsi tutti gli ordinari adempimenti contributivi stante la natura obbligatoria e sinallagmatica della prestazione.

Appare evidente che la recente produzione giurisprudenziale analizzata impone ai sodalizi sportivi dilettantistici una attenta disamina della propria impostazione e gestione dei collaboratori che, specie in alcuni settori come ad esempio il fitness, rischiano di vedersi applicare i predetti principi in caso di contenzioso di natura previdenziale con l'Inps con evidenti conseguenze negative sul patrimonio già particolarmente gravato dai mancati ricavi derivanti dai due anni di pandemia. In aggiunta a ciò, non è da escludere anche la possibilità, nemmeno remota, che il medesimo istruttore possa attivare successiva causa per ottenere la riqualificazione del rapporto in lavoro subordinato, con contestuale richiesta di tutte le differenze retributive.

A complicare il tutto vi è anche l'assoluta mancanza di univocità sull'inquadramento delle collaborazioni lavorative del mondo dello sport. La parte sul lavoro sportivo inserito nella riforma dello sport che entrerà in vigore solo il prossimo 31 dicembre 2022, infatti, non chiarisce in maniera precisa quando una prestazione sportiva possa essere qualificata come lavorativa oppure amatoriale. Tale incertezza interpretativa, quindi, rischia di essere risolta in sede giudiziale lasciando così, ancora una volta, alla magistratura il compito di inquadrare la tipologia lavorativa da applicare al caso concreto.

La visione prospettata dal legislatore della riforma, peraltro aggravata da questi ultimi orientamenti di Cassazione, appare al momento non sostenibile in termini economici per la maggior parte dei sodalizi sportivi dilettantistici che, come noto, stanno ancora cercando di riprendersi dalle difficoltà sopraggiunte durante il periodo di emergenza sanitaria. Si auspica fiduciosamente che il lavoro di revisione del testo di riforma demandato ad un apposito tavolo tecnico voluto dal sottosegretario allo sport Valentina Vezzali, pur nel rispetto delle tutele da garantire ai lavoratori dello sport, possa segnare in maniera chiara e definita il confine tra prestazione di lavoro sportivo ed amatoriale, mantenendo però invariati quanto più possibile benefici fiscali e previdenziali che possano rendere maggiormente sostenibili ed impattanti gli effetti della riforma per le società ed associazioni sportive dilettantistiche.