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lunedì 14 febbraio 2022

Il caso Valieva tra TAS e CIO: in attesa del “giusto processo” e nel rispetto del “rule of law”. Gareggiare senza premiazione è un compromesso accettabile? Intervento di Alberto Orlando*

Durante le Olimpiadi invernali in corso di svolgimento a Pechino tiene banco il caso della pattinatrice russa Valieva, risultata positiva ad un controllo antidoping svolto in data 25 dicembre 2021, ma comunque regolarmente in gara ai Giochi. È notizia recentissima la decisione del TAS che, di fatto, consente all’atleta di partecipare anche al concorso individuale della propria disciplina, programmato dal 15 al 17 febbraio, dopo che la stessa Valieva si è già aggiudicata l’oro, insieme ad altre connazionali, nel concorso a squadre.

Per spiegarsi – e cercare di commentare – la decisione del TAS, occorre ricostruire brevemente la vicenda. Come detto, il controllo antidoping cui l’atleta è risultata positiva è stato svolto ben prima dell’inizio dei Giochi olimpici e precisamente in occasione dei Campionati russi di pattinaggio svoltisi a dicembre scorso, peraltro vinti dalla stessa pattinatrice. Tuttavia, i risultati elaborati da un laboratorio accreditato avente sede a Stoccolma sono stati ricevuti dall’Agenzia Anti-doping russa (di seguito, RUSADA) soltanto in data 7 febbraio: il ritardo nella comunicazione – come chiarisce la stessa RUSADA in un comunicato ufficiale – sarebbe stata conseguenza della nuova ondata COVID-19. Di fatto, quindi, l’atleta è venuta a conoscenza della sua positività durante lo svolgimento dei Giochi: immediatamente è stata informata di una possibile violazione delle regole anti-doping e provvisoriamente sospesa dalla partecipazione a gare ed eventi, in attesa di un giudizio di merito definitivo sulla violazione. Appena due giorni dopo la Commissione Disciplinare Anti-doping della RUSADA ha, però, annullato la sospensione, garantendo alla Valieva la possibilità di gareggiare alle Olimpiadi. Contro questa decisione il CIO, il WADA (Agenzia mondiale Anti-doping) e la Federazione internazionale pattinaggio (ISU) hanno presentato ricorso davanti alla Divisione ad hoc del Tribunale Arbitrale dello Sport (TAS) istituita appositamente per i Giochi olimpici di Pechino. Quest’ultima ha confermato, in data 14 febbraio, l’orientamento della Commissione disciplinare della RUSADA praticamente su tutta la linea

Le motivazioni sono presto dette. Innanzitutto, l’atleta in questione non ha ancora compiuto 16 anni. Ai sensi del Codice WADA (Codice Mondiale Anti-doping), l’atleta minore di 16 anni è da considerarsi “persona protetta”: per questa categoria le disposizioni del Codice prevedono standard di prova più elevati per il riscontro delle violazioni e, solitamente, sanzioni meno severe. Ma soprattutto, come rilevato dal TAS, il Codice WADA – e così anche il Codice Anti-doping russo –  nulla dispone in merito alla possibilità di sospendere in via cautelare (provisional suspension) le “persone protette” per il sospetto di una violazione ancora da accertare: al contrario, la sospensione cautelare è consentita e compiutamente disciplinata con riguardo agli atleti che non siano protected person. In virtù di questo silenzio normativo, per arrivare a decisione il TAS ha utilizzato come parametri “i fondamentali principi di equità e proporzionalità”, arrivando a stabilire che costituirebbe “danno irreparabile” per l’atleta in questione la non partecipazione ai Giochi di Pechino, considerato che la violazione deve ancora essere provata nel merito, che riguarda una precedente competizione sportiva e che la comunicazione della positività è intervenuta con netto ritardo rispetto allo svolgimento del test.

La decisione del TAS è in realtà assai concisa e non sviscera completamente il ragionamento attorno ai principi comunque richiamati. Si limita, infatti, a decidere sulla sola questione della sospensione in via cautelare della atleta, ma – come precisato nella stessa decisione – resta impregiudicato qualsiasi successivo giudizio sul merito della violazione e sulle conseguenze che un eventuale accertamento della violazione stessa potrebbe produrre sui risultati sportivi.

Nonostante questo, il CIO sembra giocare d’anticipo. Da una parte, infatti, comunica di accettare la decisione del TAS nel pieno rispetto – così si legge nel comunicato ufficiale – del “rule of law” e del principio del “giusto processo” che deve essere garantito agli atleti. Dall’altra, però, dopo aver consultato i Comitati olimpici nazionali coinvolti, decide di non procedere alla cerimonia di premiazione né con riguardo alla competizione già vinta dalla Valieva (insieme alle altre componenti della squadra russa), né con riguardo alla competizione ancora da svolgersi, almeno nel caso in cui la stessa Valieva dovesse piazzarsi in una delle prime tre posizioni. In questo modo, quindi, l’onore della premiazione olimpica sarà negato a tutte le atlete piazzatesi sul podio in queste competizioni. Sebbene il CIO nello stesso comunicato si impegni a organizzare cerimonie di premiazione “dignitose” dopo la conclusione definitiva del caso Valieva, la decisione appare comunque abbastanza singolare, considerato che una cerimonia di premiazione relativa ad un evento sportivo comunque svoltosi non escluderebbe ovviamente la possibilità di rivedere – come accaduto varie volte nella storia dei Giochi olimpici – i risultati sportivi alla luce di squalifiche intervenute successivamente.

*Alberto Orlando (nella foto sotto), nato a Casarano il 27.03.1993, è ricercatore (RTDa) di Diritto pubblico comparato presso l’Università del Salento. Si occupa di diritto comparato dello sport, intelligenza artificiale e sostenibilità delle società sportive. Ha conseguito presso la stessa Università la Laurea con lode in Giurisprudenza e il Dottorato di ricerca.

 


 

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