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martedì 15 febbraio 2022

ASD E NUOVI OBBLIGHI CONTRITRIBUTIVI - Intervento dell’Avv. Giovanni Di Corrado

Nell’ambito della sua funzione di nomofilachia, la Corte di Cassazione ha pubblicato nel periodo natalizio una serie di sentenze che, con motivazioni sostanzialmente omologhe nell’impianto, affrontano la vexata quaestio della soggezione a contribuzione previdenziale dei rapporti tra istruttori e società o associazioni sportive dilettantistiche. Tali decisioni risultano univoche e conformi nel ritenere che, in presenza di una attività sportiva dilettantistica svolta a titolo oneroso, con continuità e in maniera professionale, i compensi sportivi dilettantistici di cui all’art. 67, co. 1, lett. m), Tuir non possano essere riconosciuti. Si tratta, insomma, di una riflessione articolata, preceduta da ampio excursus in ordine all’evoluzione normativa in subiecta materia, circa i limiti di applicazione della predetta norma e dei suoi effetti eccettuativi anche rispetto all’obbligo contributivo previdenziale.

Prima di questa monolitica giurisprudenza, infatti, l'orientamento maggioritario sembrava riconoscere una sostanziale “comfort zone” di favore al mondo dello sport dilettantistico basata sulla sua tipica funzione socio-educativa che il legislatore gli avrebbe riconosciuto, tanto da potere ritenere il lavoratore sportivo dilettantistico come figura speciale e terza rispetto agli ordinari criteri di lavoro subordinato o autonomo previsti dal c.c. o dalla vecchia l. n. 91/1981 sul professionismo.

In questo caso, invece, il Collegio, dopo aver ricordato la disciplina dello sport professionistico e la scelta verso la subordinazione per presunzione legislativa, punta a distinguere la prestazione sportiva dilettantistica inquadrata come attività a carattere ludico da quella svolta nell’ambito di una prestazione sinallagmatica a carattere lavorativo, smentendo definitivamente la tesi che inquadrava il lavoro sportivo dilettantistico come norma speciale e fattispecie dotata di terzietà rispetto ai criteri ermeneutici del lavoro autonomo o del lavoro subordinato. D’altra parte, lo stesso d. lgs. n. 36/2021, i cui effetti decorreranno dal 31 dicembre 2022, esclude la tipizzazione del rapporto ribadendo la tesi, condivisa dalla Cassazione, che la prestazione dello sportivo dilettante va verificata alla luce dei principi generali del diritto del lavoro (quindi non più come fattispecie autonoma o atipica).

 Quali, dunque, i requisiti che dovranno avere i sodalizi sportivi dilettantistici per ritenersi esenti dagli obblighi contributivi in favore dei propri collaboratori sportivi?

In prima battuta occorrerà dimostrare l'effettiva natura dilettantistica dell'ente che non potrà avvenire in via meramente formale e, cioè, in base alle clausole statutarie o all'effettiva affiliazione ad una Federazione sportiva, disciplina associata o ente di promozione sportiva riconosciuta dal Coni, bensì in via sostanziale attraverso il concreto ed operativo svolgimento di attività sportiva senza fine di lucro.

In secondo luogo, sarà necessario provare - per il contribuente - che chi percepisce il compenso sportivo lo faccia in maniera non professionale. Chi fa sport per diletto o passione, perciò, potrà beneficiare del regime di favore dei redditi diversi e, quindi, non essere soggetto a contributi previdenziali a differenza di chi, invece, presta la propria prestazione sportiva in via abituale e stabile, indipendentemente dal settore di riferimento e dalla tipologia di contratto.

Da ultimo, i Giudici di Piazza Cavour introducono un ulteriore criterio ai fini della suddetta esenzione, ovvero che le prestazioni sportive debbano essere svolte dal collaboratore nell'esercizio diretto di attività sportive dilettantistiche che, come tali, devono essere rese «in ragione del vincolo associativo esistente tra il prestatore e l'associazione o società dilettantistica, restando esclusa la possibilità che si tratti di prestazioni collegate all'assunzione di un distinto obbligo personale».

Se la prima parte del periodo risulta avere un connotato pressoché pacifico e condiviso poiché riferibile a tutte le quasi quattrocento discipline riconosciute nell'elenco stilato dal Coni nel 2016 che, ora, verrà ampliato in virtù delle definizioni introdotte dal testo di riforma, è il successivo inciso a destare qualche dubbio interpretativo. Non è chiaro, infatti, se la Suprema Corte abbia voluto intendere come “vincolo associativo” quello del tesseramento di atleti e tecnici, oppure addirittura anticipare la figura del c.d. “amatore” contenuta nella riforma dello sport (d.lgs. n. 36/2021), così da distinguerlo da quello del lavoratore sportivo a cui andranno, invece, ad applicarsi tutti gli ordinari adempimenti contributivi stante la natura obbligatoria e sinallagmatica della prestazione.

Appare evidente che la recente produzione giurisprudenziale analizzata impone ai sodalizi sportivi dilettantistici una attenta disamina della propria impostazione e gestione dei collaboratori che, specie in alcuni settori come ad esempio il fitness, rischiano di vedersi applicare i predetti principi in caso di contenzioso di natura previdenziale con l'Inps con evidenti conseguenze negative sul patrimonio già particolarmente gravato dai mancati ricavi derivanti dai due anni di pandemia. In aggiunta a ciò, non è da escludere anche la possibilità, nemmeno remota, che il medesimo istruttore possa attivare successiva causa per ottenere la riqualificazione del rapporto in lavoro subordinato, con contestuale richiesta di tutte le differenze retributive.

A complicare il tutto vi è anche l'assoluta mancanza di univocità sull'inquadramento delle collaborazioni lavorative del mondo dello sport. La parte sul lavoro sportivo inserito nella riforma dello sport che entrerà in vigore solo il prossimo 31 dicembre 2022, infatti, non chiarisce in maniera precisa quando una prestazione sportiva possa essere qualificata come lavorativa oppure amatoriale. Tale incertezza interpretativa, quindi, rischia di essere risolta in sede giudiziale lasciando così, ancora una volta, alla magistratura il compito di inquadrare la tipologia lavorativa da applicare al caso concreto.

La visione prospettata dal legislatore della riforma, peraltro aggravata da questi ultimi orientamenti di Cassazione, appare al momento non sostenibile in termini economici per la maggior parte dei sodalizi sportivi dilettantistici che, come noto, stanno ancora cercando di riprendersi dalle difficoltà sopraggiunte durante il periodo di emergenza sanitaria. Si auspica fiduciosamente che il lavoro di revisione del testo di riforma demandato ad un apposito tavolo tecnico voluto dal sottosegretario allo sport Valentina Vezzali, pur nel rispetto delle tutele da garantire ai lavoratori dello sport, possa segnare in maniera chiara e definita il confine tra prestazione di lavoro sportivo ed amatoriale, mantenendo però invariati quanto più possibile benefici fiscali e previdenziali che possano rendere maggiormente sostenibili ed impattanti gli effetti della riforma per le società ed associazioni sportive dilettantistiche.


 

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