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lunedì 28 febbraio 2022

Neutralità politica e solidarietà al popolo ucraino nell’applicazione ed interpretazione della Carta olimpica. Intervento Prof. Luigi Melica*

In modo lapidario il vertice dello sport mondiale, l’Executive Board del CIO, ha esortato le Federazioni internazionali dello sport che ai sensi dell’art. 1 della Carta Olimpica fanno parte del Movimento olimpico a spostare o cancellare gli eventi sportivi che si sarebbero dovuti tenere in Federazione russa o in Bielorussia (“the IOC EB today urges all International Sports Federations to relocate or cancel their sports events currently planned in Russia or Belarus”). Non solo: nelle restanti competizioni sportive, l’organo di governo ha sollecitato le Federazioni a non permettere l’utilizzo delle bandiere di tali Paesi né a suonare i rispettivi inni nazionali. Al di là della gravità dell’intervento armato, sul piano dei valori dell’Olimpismo, la Russia ha anche violato la tregua olimpica in quanto il 4 marzo iniziano a Pechino le Paralimpiadi. In generale, il Presidente Putin attribuisce molta importanza alle competizioni olimpiche: prova ne sia che alcune settimane fa ha addirittura presenziato a quelle cinesi, ricevuto dal Presidente cinese Xi Jinping. Con molta probabilità, quella missione era servita a Putin per informare di persona il Presidente cinese degli eventi imminenti al fine di ricevere sostegno o comunque non ostilità. Molto meno importanti, evidentemente, sono per il Presidente russo, i Giochi paralimpici che stanno per iniziare. Il CIO, dunque, ordinando l’isolamento sia della Russia che della Bielorussia, ha considerato l’intervento armato ordinato dalla Federazione russa in territorio ucraino non come una questione di politica interna. Pertanto – e opportunamente - il principio fondamentale n. 5 della Carta olimpica che impone ai soggetti del Movimento olimpico la “neutralità politica” è stato considerato cedevole rispetto ai principi consacrati nell’ art. 2 della stessa Carta che mettono lo sport al servizio dello sviluppo armonioso dell’umanità per promuovere una società fondata sulla pace, preservando la dignità umana. Difatti, dopo il comunicato del CIO, le cancellazioni o spostamenti si sono susseguiti a raffica, a partire dalla finale di Champions di calcio spostata da San Pietroburgo a Parigi, a seguire con il gran premio di Formula 1 che si doveva tenere a Sochi il prossimo settembre. Molto probabilmente, infine, anche i Mondiali di pallavolo non saranno disputati in Russia come previsto. Non solo, ma in un intervento pubblicato oggi su questo stesso blog, l’avv. Angelo Barnaba si sofferma sulle decisioni adottate anche dall’Eurolega di basket che, come è noto, è una lega privata e non è vincolata dalle decisioni adottate dalla Federazione internazionale del basket e quindi dal CIO. Opportunamente, ogni gara tra squadre europee e squadre russe che si sarebbe dovuta disputare in territorio russo è stata spostata per dare modo a queste ultime di parteciparvi e ciò in nome di un principio generale ricavabile dalla stessa Carta olimpica secondo il quale le gare olimpiche sono competizioni tra atleti e squadre e non tra Stati (regola 6

Ma vi è di più: in questa occasione, le Istituzioni sportive non hanno vietato le manifestazioni di protesta contro la Russia e di solidarietà con il popolo ucraino espresse in modo plateale nei luoghi dove si pratica lo sport e, dunque, in violazione dell’art. 50 della Carta Olimpica. Ai sensi di quest’ultima, infatti, i soggetti del Movimento olimpico non possono porre in essere alcun tipo di “dimostrazione politica” in tutti luoghi in cui si svolgono le competizioni sportive (“in any Olympic sites, venues or other areas”).  Di conseguenza, nonostante la Federazione italiana del basket, in risposta alla suggestione del coach della Nazionale Sacchetti - “ci tingeremo la faccia con i colori dell'Ucraina” –, dopo avere chiesto alla Federazione internazionale l’autorizzazione a solidarizzare con il popolo e lo Stato ucraino, concedeva unicamente alle squadre di indossare una maglia bianca ed un minuto di silenzio, la protesta si è manifestata aggiungendo, sulle maglie bianche, la striscia azzurra, segnando inequivocabilmente l’adesione ad una delle parti in guerra, ossia all’Ucraina. In tutta Europa, più in generale, si è solidarizzato in modo plateale a favore dello Stato ucraino. Nella Bundesliga, per esempio, i calciatori di alcune squadre si sono abbracciati in segno di solidarietà all’Ucraina aprendo, subito dopo, uno striscione colorato con i simboli della bandiera ucraina con la scritta “stop alla guerra”. In alcuni stadi tedeschi, l’appello alla pace è stato diffuso, sia con la raffigurazione di una colomba appesa pubblicamente sugli spalti, sia, sempre sugli spalti, appendendo un quadro con cinque persone che si tengono per mano con quella al centro colorata con i colori dell’Ucraina. Nella Premier League che pure, come l’Eurolega, è una lega privata non collegata ad alcuna federazione appartenente al Movimento olimpico – prima della partita Everton-Manchester City, a dispetto della regola della neutralità politica, le due squadre hanno fatto ingresso in campo con una maglia bianca con stampata la bandiera Ucraina. Ma vi è di più: come segno del destino il 27 febbraio si è disputata nello stadio di Wembley la finale della Carabao Cup tra Liverpool e Chelsea. Il Presidente russo del Chelsea Abramovich, evidentemente presagendo cosa sarebbe avvenuto, rimetteva tutte le deleghe societarie: giusto in tempo per togliersi dall’imbarazzo di vedere il pubblico di entrambe le squadre solidarizzare con il popolo ucraino esibendo la bandiera nazionale di quello Stato, mentre nello stadio veniva affisso un cartellone di enormi dimensioni colorato di bianco e azzurro con la scritta: “Football stands together”.  

(I lettori possono vedere i video dei fatti richiamati nella seguente pagina web

https://www.goal.com/en/news/premier-league-clubs-solidarity-ukraine-russia-invasion/blt6bf5b7dd33f8573a

https://twitter.com/ESPNFC/status/1497974756120817664).

Chi scrive è consapevole che il caso in esame – la guerra sferrata dallo Stato russo – è diversissimo rispetto ad episodi del passato ed è di gravità inaudita rispetto ai valori dello sport contrassegnati nella Carta olimpica. Tuttavia, in futuro sarà sempre più difficile, anche dinanzi ad azioni politiche di un Paese meno gravi, ma sempre lesive dei principi e delle regole contenute nella Carta olimpica, impedire agli atleti di solidarizzare con le vittime delle azioni politiche in modo plateale. Ciò si verificherà, nonostante i vertici dello sport internazionale continueranno a non autorizzare tali forme di protesta in forza della citata regola n. 50.

Chi scrive ritiene che la Carta olimpica, proprio perché si autodefinisce “a basic instrument of a constitutional nature” e proprio perché contiene una serie di principi fondamentali che precedono le regole più specifiche, esattamente come le Costituzioni statali, dovrebbe essere interpretata alla luce dei diversi principi ivi contemplati, bilanciando gli uni con gli altri in relazione alle diverse fattispecie concrete, senza però dimenticare che il fenomeno dell’Olimpismo deve convivere con gli ordinamenti costituzionali dei Paesi democratici e con le convenzioni internazionali ratificate dalla maggior parte di essi. In questa prospettiva, è lampante che accanto all’autonomia ed indipedenza dello sport e delle sue Istituzioni che devono essere ammessi e riconosciuti da tutti gli ordinamenti statali, esistono comunque i diritti degli atleti ed in particolare la loro libertà di pensiero, la quale è certamente peculiare, posto che una dichiarazione diffusa sui media e sui social di uno sportivo di fama mondiale - nel bene o nel male - ha una risonanza enorme, quasi globale. Del resto, sono spesso gli stessi Governi a chiedere agli atleti di fama nazionale e mondiale di farsi promotori dei principi giuridici fondamentali attraverso gli spot istituzionali. Di conseguenza, è difficile poi, anche sul piano dell’interpretazione giuridica, vietare ad un atleta di manifestare platealmente contro l’aggressione a quegli stessi valori anche in casi meno gravi della guerra lanciata dalla Russia, ma pur sempre lesivi dei diritti umani. Ciò è ancor più vero se si pensa che la stessa Carta olimpica non è indifferente ai principi fondamentali dell’eguaglianza, della non discriminazione e dei diritti delle persone vulnerabili, ma considera tali principi parte integrante della mission dell’Olimpismo. Di per sé, quindi, anche ai sensi di tale Carta è quanto meno azzardato attribuire un valore assoluto alla neutralità politica di cui al principio n. 5 e all’art. 50 della stessa. Complessivamente, il CIO e le diverse Federazioni possono anche non autorizzare espressamente certe azioni o comportamenti in nome della neutralità politica, ma alla fine devono tollerare le reazioni individuali degli atleti, come quella del campione di calcio Lewandowski che è entrato in campo indossando una fascia con i colori dell’Ucraina. Problemi simili si sono avuti anche  durante gli ultimi Europei di calcio, quando al divieto intimato dall’UEFA al Comune di Monaco di Baviera di illuminare lo stadio con le luci dell’arcobaleno prima della partita tra Ungheria e Germania in segno di solidarietà alle minoranze transgender ed a quelle omosessuali lese da una legge approvata dal Parlamento ungherese, sono seguite diverse manifestazioni individuali da parte degli atleti, non ultima, quella del portiere tedesco Neuer che entrava in campo indossando una fascia di colore arcobaleno, violando il richiamato art. 50. Non può inoltre sottacersi, a dispetto della motivazione con la quale l’UEFA aveva vietato l’illuminazione dello stadio – “una delle due squadre rappresenta proprio lo Stato ungherese” – che come afferma la stessa Carta, nelle gare sportive, non ci sono Paesi contrapposti, ma solo atleti o squadre. Dunque, il CIO dovrebbe sempre e comunque tutelare gli atleti anche dinanzi alle politiche lesive dei principi contenuti nella Carta olimpica adottate dagli Stati di appartenenza degli atleti. Se non opera in tal senso o se vieta certe manifestazioni, ottiene l’effetto opposto. Come non ricordare quanto avvenuto nel 2013, durante i Mondiali di atletica leggera di Mosca, quando le autorità sportive rimasero silenti dinanzi ad una legge adottata alcuni mesi prima dal Parlamento russo che aveva discriminato i diritti delle persone omosessuali? In quell’occasione, la Federazione dell’atletica leggera intimò alla saltatrice in alto svedese, Emma Green-Tregaro, di togliersi lo smalto con le tonalità dell’arcobaleno che si era stesa il giorno prima in segno di solidarietà alle comunità omosessuali. Tale discutibile forma di rigidità non sortiva gli effetti sperati, considerato che proprio le staffettiste russe vincitrici della medaglia d’oro, con grande coraggio, durante la premiazione, davanti alle telecamere di tutto il mondo, decisero di baciarsi sulle labbra in segno di solidarietà con le minoranze lesbiche.

Il diritto dello sport, come si evince da queste brevi riflessioni, non è di semplice applicazione ed interpretazione. Come riferito più sopra, accanto all’ordinamento sportivo, internazionale e nazionale, esistono gli ordinamenti statali ed il diritto internazionale e convenzionale, che offrono una tutela rafforzata alle libertà di opinione, di riunione e di associazione e che non tollerano menomazioni di tali diritti, soprattutto se le opinioni mirano a chiedere tutela a favore di principi/valori costituzionali altrettanto importanti violati dagli Stati. La “neutralità politica”, dunque, va applicata interpretando la Carta olimpica, bilanciando i valori in essa consacrati.

*Prof. Luigi Melica (nella Foto) 



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