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SNL SPORT LAW AND MANAGEMENT - Il blog ufficiale del Corso di Laurea Unisalento in Diritto e Management dello Sport

sabato 5 marzo 2022

IPC to decline athlete entries from RPC and NPC Belarus for Beijing 2022

IPC to decline athlete entries from RPC and NPC Belarus for Beijing 2022: - Multiple NPCs, teams and athletes now threatening not to compete, jeopardising the viability of the Beijing 2022 Paralympic Winter Games, - Situation in the athlete villages is escalating and ensuring the safety of athletes has become untenable

lunedì 28 febbraio 2022

Neutralità politica e solidarietà al popolo ucraino nell’applicazione ed interpretazione della Carta olimpica. Intervento Prof. Luigi Melica*

In modo lapidario il vertice dello sport mondiale, l’Executive Board del CIO, ha esortato le Federazioni internazionali dello sport che ai sensi dell’art. 1 della Carta Olimpica fanno parte del Movimento olimpico a spostare o cancellare gli eventi sportivi che si sarebbero dovuti tenere in Federazione russa o in Bielorussia (“the IOC EB today urges all International Sports Federations to relocate or cancel their sports events currently planned in Russia or Belarus”). Non solo: nelle restanti competizioni sportive, l’organo di governo ha sollecitato le Federazioni a non permettere l’utilizzo delle bandiere di tali Paesi né a suonare i rispettivi inni nazionali. Al di là della gravità dell’intervento armato, sul piano dei valori dell’Olimpismo, la Russia ha anche violato la tregua olimpica in quanto il 4 marzo iniziano a Pechino le Paralimpiadi. In generale, il Presidente Putin attribuisce molta importanza alle competizioni olimpiche: prova ne sia che alcune settimane fa ha addirittura presenziato a quelle cinesi, ricevuto dal Presidente cinese Xi Jinping. Con molta probabilità, quella missione era servita a Putin per informare di persona il Presidente cinese degli eventi imminenti al fine di ricevere sostegno o comunque non ostilità. Molto meno importanti, evidentemente, sono per il Presidente russo, i Giochi paralimpici che stanno per iniziare. Il CIO, dunque, ordinando l’isolamento sia della Russia che della Bielorussia, ha considerato l’intervento armato ordinato dalla Federazione russa in territorio ucraino non come una questione di politica interna. Pertanto – e opportunamente - il principio fondamentale n. 5 della Carta olimpica che impone ai soggetti del Movimento olimpico la “neutralità politica” è stato considerato cedevole rispetto ai principi consacrati nell’ art. 2 della stessa Carta che mettono lo sport al servizio dello sviluppo armonioso dell’umanità per promuovere una società fondata sulla pace, preservando la dignità umana. Difatti, dopo il comunicato del CIO, le cancellazioni o spostamenti si sono susseguiti a raffica, a partire dalla finale di Champions di calcio spostata da San Pietroburgo a Parigi, a seguire con il gran premio di Formula 1 che si doveva tenere a Sochi il prossimo settembre. Molto probabilmente, infine, anche i Mondiali di pallavolo non saranno disputati in Russia come previsto. Non solo, ma in un intervento pubblicato oggi su questo stesso blog, l’avv. Angelo Barnaba si sofferma sulle decisioni adottate anche dall’Eurolega di basket che, come è noto, è una lega privata e non è vincolata dalle decisioni adottate dalla Federazione internazionale del basket e quindi dal CIO. Opportunamente, ogni gara tra squadre europee e squadre russe che si sarebbe dovuta disputare in territorio russo è stata spostata per dare modo a queste ultime di parteciparvi e ciò in nome di un principio generale ricavabile dalla stessa Carta olimpica secondo il quale le gare olimpiche sono competizioni tra atleti e squadre e non tra Stati (regola 6

Ma vi è di più: in questa occasione, le Istituzioni sportive non hanno vietato le manifestazioni di protesta contro la Russia e di solidarietà con il popolo ucraino espresse in modo plateale nei luoghi dove si pratica lo sport e, dunque, in violazione dell’art. 50 della Carta Olimpica. Ai sensi di quest’ultima, infatti, i soggetti del Movimento olimpico non possono porre in essere alcun tipo di “dimostrazione politica” in tutti luoghi in cui si svolgono le competizioni sportive (“in any Olympic sites, venues or other areas”).  Di conseguenza, nonostante la Federazione italiana del basket, in risposta alla suggestione del coach della Nazionale Sacchetti - “ci tingeremo la faccia con i colori dell'Ucraina” –, dopo avere chiesto alla Federazione internazionale l’autorizzazione a solidarizzare con il popolo e lo Stato ucraino, concedeva unicamente alle squadre di indossare una maglia bianca ed un minuto di silenzio, la protesta si è manifestata aggiungendo, sulle maglie bianche, la striscia azzurra, segnando inequivocabilmente l’adesione ad una delle parti in guerra, ossia all’Ucraina. In tutta Europa, più in generale, si è solidarizzato in modo plateale a favore dello Stato ucraino. Nella Bundesliga, per esempio, i calciatori di alcune squadre si sono abbracciati in segno di solidarietà all’Ucraina aprendo, subito dopo, uno striscione colorato con i simboli della bandiera ucraina con la scritta “stop alla guerra”. In alcuni stadi tedeschi, l’appello alla pace è stato diffuso, sia con la raffigurazione di una colomba appesa pubblicamente sugli spalti, sia, sempre sugli spalti, appendendo un quadro con cinque persone che si tengono per mano con quella al centro colorata con i colori dell’Ucraina. Nella Premier League che pure, come l’Eurolega, è una lega privata non collegata ad alcuna federazione appartenente al Movimento olimpico – prima della partita Everton-Manchester City, a dispetto della regola della neutralità politica, le due squadre hanno fatto ingresso in campo con una maglia bianca con stampata la bandiera Ucraina. Ma vi è di più: come segno del destino il 27 febbraio si è disputata nello stadio di Wembley la finale della Carabao Cup tra Liverpool e Chelsea. Il Presidente russo del Chelsea Abramovich, evidentemente presagendo cosa sarebbe avvenuto, rimetteva tutte le deleghe societarie: giusto in tempo per togliersi dall’imbarazzo di vedere il pubblico di entrambe le squadre solidarizzare con il popolo ucraino esibendo la bandiera nazionale di quello Stato, mentre nello stadio veniva affisso un cartellone di enormi dimensioni colorato di bianco e azzurro con la scritta: “Football stands together”.  

(I lettori possono vedere i video dei fatti richiamati nella seguente pagina web

https://www.goal.com/en/news/premier-league-clubs-solidarity-ukraine-russia-invasion/blt6bf5b7dd33f8573a

https://twitter.com/ESPNFC/status/1497974756120817664).

Chi scrive è consapevole che il caso in esame – la guerra sferrata dallo Stato russo – è diversissimo rispetto ad episodi del passato ed è di gravità inaudita rispetto ai valori dello sport contrassegnati nella Carta olimpica. Tuttavia, in futuro sarà sempre più difficile, anche dinanzi ad azioni politiche di un Paese meno gravi, ma sempre lesive dei principi e delle regole contenute nella Carta olimpica, impedire agli atleti di solidarizzare con le vittime delle azioni politiche in modo plateale. Ciò si verificherà, nonostante i vertici dello sport internazionale continueranno a non autorizzare tali forme di protesta in forza della citata regola n. 50.

Chi scrive ritiene che la Carta olimpica, proprio perché si autodefinisce “a basic instrument of a constitutional nature” e proprio perché contiene una serie di principi fondamentali che precedono le regole più specifiche, esattamente come le Costituzioni statali, dovrebbe essere interpretata alla luce dei diversi principi ivi contemplati, bilanciando gli uni con gli altri in relazione alle diverse fattispecie concrete, senza però dimenticare che il fenomeno dell’Olimpismo deve convivere con gli ordinamenti costituzionali dei Paesi democratici e con le convenzioni internazionali ratificate dalla maggior parte di essi. In questa prospettiva, è lampante che accanto all’autonomia ed indipedenza dello sport e delle sue Istituzioni che devono essere ammessi e riconosciuti da tutti gli ordinamenti statali, esistono comunque i diritti degli atleti ed in particolare la loro libertà di pensiero, la quale è certamente peculiare, posto che una dichiarazione diffusa sui media e sui social di uno sportivo di fama mondiale - nel bene o nel male - ha una risonanza enorme, quasi globale. Del resto, sono spesso gli stessi Governi a chiedere agli atleti di fama nazionale e mondiale di farsi promotori dei principi giuridici fondamentali attraverso gli spot istituzionali. Di conseguenza, è difficile poi, anche sul piano dell’interpretazione giuridica, vietare ad un atleta di manifestare platealmente contro l’aggressione a quegli stessi valori anche in casi meno gravi della guerra lanciata dalla Russia, ma pur sempre lesivi dei diritti umani. Ciò è ancor più vero se si pensa che la stessa Carta olimpica non è indifferente ai principi fondamentali dell’eguaglianza, della non discriminazione e dei diritti delle persone vulnerabili, ma considera tali principi parte integrante della mission dell’Olimpismo. Di per sé, quindi, anche ai sensi di tale Carta è quanto meno azzardato attribuire un valore assoluto alla neutralità politica di cui al principio n. 5 e all’art. 50 della stessa. Complessivamente, il CIO e le diverse Federazioni possono anche non autorizzare espressamente certe azioni o comportamenti in nome della neutralità politica, ma alla fine devono tollerare le reazioni individuali degli atleti, come quella del campione di calcio Lewandowski che è entrato in campo indossando una fascia con i colori dell’Ucraina. Problemi simili si sono avuti anche  durante gli ultimi Europei di calcio, quando al divieto intimato dall’UEFA al Comune di Monaco di Baviera di illuminare lo stadio con le luci dell’arcobaleno prima della partita tra Ungheria e Germania in segno di solidarietà alle minoranze transgender ed a quelle omosessuali lese da una legge approvata dal Parlamento ungherese, sono seguite diverse manifestazioni individuali da parte degli atleti, non ultima, quella del portiere tedesco Neuer che entrava in campo indossando una fascia di colore arcobaleno, violando il richiamato art. 50. Non può inoltre sottacersi, a dispetto della motivazione con la quale l’UEFA aveva vietato l’illuminazione dello stadio – “una delle due squadre rappresenta proprio lo Stato ungherese” – che come afferma la stessa Carta, nelle gare sportive, non ci sono Paesi contrapposti, ma solo atleti o squadre. Dunque, il CIO dovrebbe sempre e comunque tutelare gli atleti anche dinanzi alle politiche lesive dei principi contenuti nella Carta olimpica adottate dagli Stati di appartenenza degli atleti. Se non opera in tal senso o se vieta certe manifestazioni, ottiene l’effetto opposto. Come non ricordare quanto avvenuto nel 2013, durante i Mondiali di atletica leggera di Mosca, quando le autorità sportive rimasero silenti dinanzi ad una legge adottata alcuni mesi prima dal Parlamento russo che aveva discriminato i diritti delle persone omosessuali? In quell’occasione, la Federazione dell’atletica leggera intimò alla saltatrice in alto svedese, Emma Green-Tregaro, di togliersi lo smalto con le tonalità dell’arcobaleno che si era stesa il giorno prima in segno di solidarietà alle comunità omosessuali. Tale discutibile forma di rigidità non sortiva gli effetti sperati, considerato che proprio le staffettiste russe vincitrici della medaglia d’oro, con grande coraggio, durante la premiazione, davanti alle telecamere di tutto il mondo, decisero di baciarsi sulle labbra in segno di solidarietà con le minoranze lesbiche.

Il diritto dello sport, come si evince da queste brevi riflessioni, non è di semplice applicazione ed interpretazione. Come riferito più sopra, accanto all’ordinamento sportivo, internazionale e nazionale, esistono gli ordinamenti statali ed il diritto internazionale e convenzionale, che offrono una tutela rafforzata alle libertà di opinione, di riunione e di associazione e che non tollerano menomazioni di tali diritti, soprattutto se le opinioni mirano a chiedere tutela a favore di principi/valori costituzionali altrettanto importanti violati dagli Stati. La “neutralità politica”, dunque, va applicata interpretando la Carta olimpica, bilanciando i valori in essa consacrati.

*Prof. Luigi Melica (nella Foto) 



LA GUERRA IN EUROPA E LE PRIME REAZIONI NEL MONDO DELLO SPORT. INTERVENTO AVV. ANGELO BARNABA

La finale di Champions League del prossimo 28 maggio si disputerà a Parigi e non più a San Pietroburgo, per decisione dell’UEFA. Che ha anche stabilito che le gare di squadre di club russe ed ucraine saranno giocate in campo neutro.

La FIA, dal canto suo, ha già cancellato il Gran Premio di Sochi del 25 settembre.

Più in generale, è l’intero sport mondiale che a seguito degli eventi degli ultimi giorni ha deciso di prendere una posizione netta nei confronti della Russia di Putin.

Il CIO ha esortato tutte le Federazioni Sportive Internazionali a trasferire o annullare i loro eventi attualmente programmati in Russia o Bielorussia e dare priorità assoluta alla sicurezza ed alla protezione degli atleti. 

Insomma, questi primissimi giorni di conflitto hanno già scosso il mondo dello Sport in modo violento, evidenziando una volta di più le sue mille connessioni con la geopolitica e l’economia.

Le conseguenze dell’eventuale protrarsi di questa situazione sono naturalmente, allo stato, del tutto imprevedibili. Il terremoto creato dall’invasione dell’Ucraina è stato di una magnitudo finora sconosciuta e proprio per questo potrebbe generare, nella peggiore delle ipotesi, tanti tsunami altrettanto pericolosi e distruttivi degli equilibri precedenti. Ai quali peraltro, per dirla tutta, aveva già attentato pesantemente la pandemia: ed è proprio per questo che gli effetti di questo nuovo shock potrebbero essere devastanti.

Uno dei maggiori club calcistici inglesi, il ricchissimo Chelsea, potrebbe cambiare l’attuale proprietà (russa: l’oligarca Abramovich è considerato da sempre vicino a Putin).

Nel basket, in Euroleague giocano due squadre russe: il potentissimo CSKA Mosca e l’altrettanto ambizioso Zenit di San Pietroburgo. Con la necessaria tempestività, l’Eurolega ha deciso che le squadre russe in corsa nella competizione dovranno giocare in campo neutro. E così, le partite programmate per essere giocate sul suolo russo saranno spostate in altre sedi al di fuori della Russia, mentre le partite che coinvolgono squadre russe, ma programmate per essere giocare in altri paesi, continueranno a svolgersi come da programma.

L’Eurolega ha deciso in tal senso con l’obiettivo di tutelare l’integrità della competizione e consentire alle squadre di continuare a difendere il proprio diritto a gareggiare in campo, isolando lo sport da qualsiasi azione politica. E, nel contempo, per proteggere l'integrità di giocatori, allenatori, tifosi e staff, evitando che possano correre rischi.

Una decisione senz’altro condivisibile, alla luce di tutti gli interessi in gioco in quella che è diventata – a tutti gli effetti - la massima espressione del basket europeo a livello di club. Ed è singolare osservare come anche in questa triste occasione la storia, come teorizzava già secoli fa il filosofo napoletano Giambattista Vico, dopo aver fatto un giro immenso (purtroppo) ritorni.

Infatti, chi scrive lo ricorda bene per aver vissuto la stagione 1991 – 92 da Team Manager della Phonola Caserta Campione d’Italia, nell’allora Coppa dei Campioni, la FIBA decise che le squadre croate e serbe avrebbero dovuto eleggere la sede delle loro gare interne al di fuori dei confini nazionali. Scelsero, curiosamente, tutte e tre di giocare in Spagna. La “mia” Caserta incrociò le due croate e giocammo con la Spalato di Zan Tabak a La Coruna e con il Cibona Zagabria a Cadice, in Andalusia. Il Partizan Belgrado, allenato dell’allora giovane esordiente coach Obradovic, stabilì invece di giocare a Fuenlabrada, città situata nell’area metropolitana di Madrid. Da lì partì una grande storia di Sport, che terminò addirittura con la sorprendente conquista del massimo trofeo continentale, ottenuta contro ogni pronostico da un manipolo di ragazzi terribili.

Si trattò di un vero e proprio “fiore” sportivo, nato nel deserto di un conflitto sanguinoso e terribile, come tutte le guerre sanno essere.

 


 

giovedì 24 febbraio 2022

"C'è una cosa a cui una donna non deve rinunciare se lo vuole ed è diventare madre". Intervento dell'Avv. Francesca Semeraro*

"C'è una cosa a cui una donna non deve rinunciare se lo vuole ed è diventare madre".

Oggi più che mai, è importante dare una risposta a questa domanda: è possibile per una donna atleta conciliare il diritto alla maternità con la carriera sportiva?

Spesso è accaduto e forse accade ancora oggi che per le nostre atlete la maternità non è certamente un sogno ed un diritto facile da realizzare e le notizie giunte negli ultimi anni confermano questa situazione, purtroppo, difficile da scalfire.

Quante come Carli Lloyd o Lara Lugli?

La prima, palleggiatrice e capitana di Casalmaggiore accusata e insultata sui social dai tifosi per una sola "colpa", sì, quella di essere incinta o Lara Lugli, rea per aver sottaciuto, al momento della sottoscrizione del contratto con la società di Pordenone, la sua volontà di diventare mamma.

La storia di Lara è venuta alla ribalta nel 2021, dopo la pubblicazione di un post sul proprio profilo Facebook, con il quale la pallavolista denunciava la risoluzione del contratto per "comprovata gravidanza" avvenuta immediatamente dopo aver comunicato alla controparte il proprio stato interessante, seppur non portato a termine a causa di un aborto spontaneo.

Purtroppo, una prassi ormai consolidata nel mondo dello sport femminile è l'utilizzo delle c.d. "clausole antimaternità" sottoscritte dalle giocatrici in sede contrattuale, attraverso le quali una donna è costretta a dichiarare, se vuole lavorare, la mancata volontà di avere figli, rimanendo altrimenti fuori dai giochi.

La questione che emerge è di estrema importanza perché oltre a porre l'accento sulla legittimità o meno delle già menzionate clausole, in contrasto con l'art. 31 della Carta Costituzionale, rileva anche un secondo problema e cioè quello relativo alla mancata qualificazione delle atlete come professioniste, rimanendo, pertanto, prive di qualsivoglia tutela.

A tal riguardo, un importante intervento si è avuto con l'approvazione della Legge di Bilancio 2018, con cui è stato istituito il Fondo Maternità, rifinanziato per il triennio 2019-2021, grazie al quale si prevede l'erogazione di un contributo fino ad un massimo di 1000 euro da parte dell'Ufficio dello sport, assicurando così all'atleta la propria continuità retributiva anche durante il periodo di congedo di maternità.

Sostegno fortemente voluto anche dalla Federazione Italiana Pallavolo (Fipav), come dichiarato dal Presidente Giuseppe Manfredi, rimarcando così l'intenzione di porre rimedio ad una tematica sempre più attuale.

Ed infatti, a partire dal 1° gennaio 2022 la Fipav eroga in favore delle atlete in gravidanza e delle neomamme che accedono al Fondo "La maternità è di tutti", sussistendone i requisiti, un sussidio di euro 500,00, che, affiancato a quello riconosciuto mensilmente dall'Ufficio dello sport pari ad euro 1000,00 e sino ad un massimo di 10 mensilità, assicura alle atlete la continuità retributiva durante il periodo della gravidanza ed in quello immediatamente successivo alla nascita dei figli.

Pertanto, come anticipato in precedenza possono accedere al fondo le atlete che, al momento della presentazione della domanda, soddisfino la contemporanea sussistenza dei seguenti requisiti: l'attuale svolgimento in forma esclusiva o prevalente di un’attività sportiva agonistica riconosciuta dal Coni; l’assenza di redditi derivanti da altra attività per importi superiori a 15.000,00 euro lordi annui; la non appartenenza a gruppi sportivi militari o ad altri gruppi che garantiscono una forma di tutela previdenziale in caso di maternità; l’assenza di un’attività lavorativa che garantisca una forma di tutela previdenziale in caso di maternità; il possesso della cittadinanza italiana o di altro paese membro dell’Unione Europea oppure, per le atlete cittadine di un paese terzo, il possesso di permesso di soggiorno in corso di validità e con scadenza di almeno sei mesi successiva a quella della richiesta.

Inoltre, le linee guida prevedono alternativamente l’esistenza di ulteriori requisiti che soddisfino  l'esistenza di una delle seguenti situazioni, come l'aver partecipato negli ultimi cinque anni a una olimpiade o a un campionato o coppa del mondo oppure a un campionato o coppa europei riconosciuti dalla federazione di appartenenza oppure l'aver fatto parte almeno una volta negli ultimi cinque anni di una selezione nazionale della federazione di appartenenza in occasione di gare ufficiali e l'aver preso parte, per almeno due stagioni sportive compresa quella in corso, a un campionato nazionale federale.

L’erogazione del contributo soggiace ad un’ulteriore condizione che prevede da parte dell’atleta l’interruzione della propria attività agonistica, a partire dalla fine del primo mese di gravidanza e non oltre la fine dell’ottavo.

Infine, le linee guida al punto 3 individuano le ipotesi di decadenza del contributo, stabilendo che lo stesso venga meno in due specifiche circostanze e, dunque, in ogni caso nel momento in cui l'atleta riprenda l'attività agonistica oppure in caso di interruzione di gravidanza, fermo restando il diritto alla percezione del contributo, questo permane fino alla ripresa dell’attività agonistica e comunque per non più di 3 mesi. Quindi, al verificarsi di queste due situazioni l'atleta è tenuta a dare immediata comunicazione al competente Ufficio per lo Sport, stante le conseguenze penali, civili ed amministrative previste dalla legge per indebita percezione del contributo di maternità.

Alla luce dell’analisi effettuata, è importante evidenziare come il supporto della Federazione Italiana Pallavolo abbia rappresentato un enorme passo in avanti per le donne atlete che decidono di affrontare un momento indimenticabile della vita di una donna, semplificando la gestione di una situazione spesso non scevra di difficoltà.

Federazione che, come riportano i dati rilevati per la stagione sportiva 2018-2019, vanta un significativo numero di atlete tesserate, 199.152 sono le atlete aventi una fascia di età compresa tra i 6 e i 17 anni, 32.891 quelle tra i 18 e i 26 anni, 8.097 le atlete di età tra i 26 ed i 30 anni, mentre 6.901 quelle over 30.

Certamente, merita menzione la notizia giunta alla ribalta in questi ultimi giorni riguardante l’assunzione da parte di un imprenditore fiorentino di una donna di 27 anni “anche se incinta” , ciò dovrebbe portarci a riflettere sulla gravidanza come situazione di normalità e non come un ostacolo alla realizzazione della donna, qualsiasi ruolo essa svolga.

In conclusione, sia nel contesto sportivo che al di fuori di esso si può, dunque, parlare di un processo di apertura nei riguardi di un tema importante per tante donne qual è sicuramente il diritto alla maternità senza alcuna limitazione?

 

*Avv. Fipav Francesca Semeraro - Studentessa iscritta al 2 anno del corso di laurea in “Diritto e Management Dello Sport” presso l’Università del Salento

 


 

 

 

 

martedì 15 febbraio 2022

Kamila Valieva riammessa alle Olimpiadi dopo il caso doping: era positiv...

ASD E NUOVI OBBLIGHI CONTRITRIBUTIVI - Intervento dell’Avv. Giovanni Di Corrado

Nell’ambito della sua funzione di nomofilachia, la Corte di Cassazione ha pubblicato nel periodo natalizio una serie di sentenze che, con motivazioni sostanzialmente omologhe nell’impianto, affrontano la vexata quaestio della soggezione a contribuzione previdenziale dei rapporti tra istruttori e società o associazioni sportive dilettantistiche. Tali decisioni risultano univoche e conformi nel ritenere che, in presenza di una attività sportiva dilettantistica svolta a titolo oneroso, con continuità e in maniera professionale, i compensi sportivi dilettantistici di cui all’art. 67, co. 1, lett. m), Tuir non possano essere riconosciuti. Si tratta, insomma, di una riflessione articolata, preceduta da ampio excursus in ordine all’evoluzione normativa in subiecta materia, circa i limiti di applicazione della predetta norma e dei suoi effetti eccettuativi anche rispetto all’obbligo contributivo previdenziale.

Prima di questa monolitica giurisprudenza, infatti, l'orientamento maggioritario sembrava riconoscere una sostanziale “comfort zone” di favore al mondo dello sport dilettantistico basata sulla sua tipica funzione socio-educativa che il legislatore gli avrebbe riconosciuto, tanto da potere ritenere il lavoratore sportivo dilettantistico come figura speciale e terza rispetto agli ordinari criteri di lavoro subordinato o autonomo previsti dal c.c. o dalla vecchia l. n. 91/1981 sul professionismo.

In questo caso, invece, il Collegio, dopo aver ricordato la disciplina dello sport professionistico e la scelta verso la subordinazione per presunzione legislativa, punta a distinguere la prestazione sportiva dilettantistica inquadrata come attività a carattere ludico da quella svolta nell’ambito di una prestazione sinallagmatica a carattere lavorativo, smentendo definitivamente la tesi che inquadrava il lavoro sportivo dilettantistico come norma speciale e fattispecie dotata di terzietà rispetto ai criteri ermeneutici del lavoro autonomo o del lavoro subordinato. D’altra parte, lo stesso d. lgs. n. 36/2021, i cui effetti decorreranno dal 31 dicembre 2022, esclude la tipizzazione del rapporto ribadendo la tesi, condivisa dalla Cassazione, che la prestazione dello sportivo dilettante va verificata alla luce dei principi generali del diritto del lavoro (quindi non più come fattispecie autonoma o atipica).

 Quali, dunque, i requisiti che dovranno avere i sodalizi sportivi dilettantistici per ritenersi esenti dagli obblighi contributivi in favore dei propri collaboratori sportivi?

In prima battuta occorrerà dimostrare l'effettiva natura dilettantistica dell'ente che non potrà avvenire in via meramente formale e, cioè, in base alle clausole statutarie o all'effettiva affiliazione ad una Federazione sportiva, disciplina associata o ente di promozione sportiva riconosciuta dal Coni, bensì in via sostanziale attraverso il concreto ed operativo svolgimento di attività sportiva senza fine di lucro.

In secondo luogo, sarà necessario provare - per il contribuente - che chi percepisce il compenso sportivo lo faccia in maniera non professionale. Chi fa sport per diletto o passione, perciò, potrà beneficiare del regime di favore dei redditi diversi e, quindi, non essere soggetto a contributi previdenziali a differenza di chi, invece, presta la propria prestazione sportiva in via abituale e stabile, indipendentemente dal settore di riferimento e dalla tipologia di contratto.

Da ultimo, i Giudici di Piazza Cavour introducono un ulteriore criterio ai fini della suddetta esenzione, ovvero che le prestazioni sportive debbano essere svolte dal collaboratore nell'esercizio diretto di attività sportive dilettantistiche che, come tali, devono essere rese «in ragione del vincolo associativo esistente tra il prestatore e l'associazione o società dilettantistica, restando esclusa la possibilità che si tratti di prestazioni collegate all'assunzione di un distinto obbligo personale».

Se la prima parte del periodo risulta avere un connotato pressoché pacifico e condiviso poiché riferibile a tutte le quasi quattrocento discipline riconosciute nell'elenco stilato dal Coni nel 2016 che, ora, verrà ampliato in virtù delle definizioni introdotte dal testo di riforma, è il successivo inciso a destare qualche dubbio interpretativo. Non è chiaro, infatti, se la Suprema Corte abbia voluto intendere come “vincolo associativo” quello del tesseramento di atleti e tecnici, oppure addirittura anticipare la figura del c.d. “amatore” contenuta nella riforma dello sport (d.lgs. n. 36/2021), così da distinguerlo da quello del lavoratore sportivo a cui andranno, invece, ad applicarsi tutti gli ordinari adempimenti contributivi stante la natura obbligatoria e sinallagmatica della prestazione.

Appare evidente che la recente produzione giurisprudenziale analizzata impone ai sodalizi sportivi dilettantistici una attenta disamina della propria impostazione e gestione dei collaboratori che, specie in alcuni settori come ad esempio il fitness, rischiano di vedersi applicare i predetti principi in caso di contenzioso di natura previdenziale con l'Inps con evidenti conseguenze negative sul patrimonio già particolarmente gravato dai mancati ricavi derivanti dai due anni di pandemia. In aggiunta a ciò, non è da escludere anche la possibilità, nemmeno remota, che il medesimo istruttore possa attivare successiva causa per ottenere la riqualificazione del rapporto in lavoro subordinato, con contestuale richiesta di tutte le differenze retributive.

A complicare il tutto vi è anche l'assoluta mancanza di univocità sull'inquadramento delle collaborazioni lavorative del mondo dello sport. La parte sul lavoro sportivo inserito nella riforma dello sport che entrerà in vigore solo il prossimo 31 dicembre 2022, infatti, non chiarisce in maniera precisa quando una prestazione sportiva possa essere qualificata come lavorativa oppure amatoriale. Tale incertezza interpretativa, quindi, rischia di essere risolta in sede giudiziale lasciando così, ancora una volta, alla magistratura il compito di inquadrare la tipologia lavorativa da applicare al caso concreto.

La visione prospettata dal legislatore della riforma, peraltro aggravata da questi ultimi orientamenti di Cassazione, appare al momento non sostenibile in termini economici per la maggior parte dei sodalizi sportivi dilettantistici che, come noto, stanno ancora cercando di riprendersi dalle difficoltà sopraggiunte durante il periodo di emergenza sanitaria. Si auspica fiduciosamente che il lavoro di revisione del testo di riforma demandato ad un apposito tavolo tecnico voluto dal sottosegretario allo sport Valentina Vezzali, pur nel rispetto delle tutele da garantire ai lavoratori dello sport, possa segnare in maniera chiara e definita il confine tra prestazione di lavoro sportivo ed amatoriale, mantenendo però invariati quanto più possibile benefici fiscali e previdenziali che possano rendere maggiormente sostenibili ed impattanti gli effetti della riforma per le società ed associazioni sportive dilettantistiche.


 

lunedì 14 febbraio 2022

Il caso Valieva tra TAS e CIO: in attesa del “giusto processo” e nel rispetto del “rule of law”. Gareggiare senza premiazione è un compromesso accettabile? Intervento di Alberto Orlando*

Durante le Olimpiadi invernali in corso di svolgimento a Pechino tiene banco il caso della pattinatrice russa Valieva, risultata positiva ad un controllo antidoping svolto in data 25 dicembre 2021, ma comunque regolarmente in gara ai Giochi. È notizia recentissima la decisione del TAS che, di fatto, consente all’atleta di partecipare anche al concorso individuale della propria disciplina, programmato dal 15 al 17 febbraio, dopo che la stessa Valieva si è già aggiudicata l’oro, insieme ad altre connazionali, nel concorso a squadre.

Per spiegarsi – e cercare di commentare – la decisione del TAS, occorre ricostruire brevemente la vicenda. Come detto, il controllo antidoping cui l’atleta è risultata positiva è stato svolto ben prima dell’inizio dei Giochi olimpici e precisamente in occasione dei Campionati russi di pattinaggio svoltisi a dicembre scorso, peraltro vinti dalla stessa pattinatrice. Tuttavia, i risultati elaborati da un laboratorio accreditato avente sede a Stoccolma sono stati ricevuti dall’Agenzia Anti-doping russa (di seguito, RUSADA) soltanto in data 7 febbraio: il ritardo nella comunicazione – come chiarisce la stessa RUSADA in un comunicato ufficiale – sarebbe stata conseguenza della nuova ondata COVID-19. Di fatto, quindi, l’atleta è venuta a conoscenza della sua positività durante lo svolgimento dei Giochi: immediatamente è stata informata di una possibile violazione delle regole anti-doping e provvisoriamente sospesa dalla partecipazione a gare ed eventi, in attesa di un giudizio di merito definitivo sulla violazione. Appena due giorni dopo la Commissione Disciplinare Anti-doping della RUSADA ha, però, annullato la sospensione, garantendo alla Valieva la possibilità di gareggiare alle Olimpiadi. Contro questa decisione il CIO, il WADA (Agenzia mondiale Anti-doping) e la Federazione internazionale pattinaggio (ISU) hanno presentato ricorso davanti alla Divisione ad hoc del Tribunale Arbitrale dello Sport (TAS) istituita appositamente per i Giochi olimpici di Pechino. Quest’ultima ha confermato, in data 14 febbraio, l’orientamento della Commissione disciplinare della RUSADA praticamente su tutta la linea

Le motivazioni sono presto dette. Innanzitutto, l’atleta in questione non ha ancora compiuto 16 anni. Ai sensi del Codice WADA (Codice Mondiale Anti-doping), l’atleta minore di 16 anni è da considerarsi “persona protetta”: per questa categoria le disposizioni del Codice prevedono standard di prova più elevati per il riscontro delle violazioni e, solitamente, sanzioni meno severe. Ma soprattutto, come rilevato dal TAS, il Codice WADA – e così anche il Codice Anti-doping russo –  nulla dispone in merito alla possibilità di sospendere in via cautelare (provisional suspension) le “persone protette” per il sospetto di una violazione ancora da accertare: al contrario, la sospensione cautelare è consentita e compiutamente disciplinata con riguardo agli atleti che non siano protected person. In virtù di questo silenzio normativo, per arrivare a decisione il TAS ha utilizzato come parametri “i fondamentali principi di equità e proporzionalità”, arrivando a stabilire che costituirebbe “danno irreparabile” per l’atleta in questione la non partecipazione ai Giochi di Pechino, considerato che la violazione deve ancora essere provata nel merito, che riguarda una precedente competizione sportiva e che la comunicazione della positività è intervenuta con netto ritardo rispetto allo svolgimento del test.

La decisione del TAS è in realtà assai concisa e non sviscera completamente il ragionamento attorno ai principi comunque richiamati. Si limita, infatti, a decidere sulla sola questione della sospensione in via cautelare della atleta, ma – come precisato nella stessa decisione – resta impregiudicato qualsiasi successivo giudizio sul merito della violazione e sulle conseguenze che un eventuale accertamento della violazione stessa potrebbe produrre sui risultati sportivi.

Nonostante questo, il CIO sembra giocare d’anticipo. Da una parte, infatti, comunica di accettare la decisione del TAS nel pieno rispetto – così si legge nel comunicato ufficiale – del “rule of law” e del principio del “giusto processo” che deve essere garantito agli atleti. Dall’altra, però, dopo aver consultato i Comitati olimpici nazionali coinvolti, decide di non procedere alla cerimonia di premiazione né con riguardo alla competizione già vinta dalla Valieva (insieme alle altre componenti della squadra russa), né con riguardo alla competizione ancora da svolgersi, almeno nel caso in cui la stessa Valieva dovesse piazzarsi in una delle prime tre posizioni. In questo modo, quindi, l’onore della premiazione olimpica sarà negato a tutte le atlete piazzatesi sul podio in queste competizioni. Sebbene il CIO nello stesso comunicato si impegni a organizzare cerimonie di premiazione “dignitose” dopo la conclusione definitiva del caso Valieva, la decisione appare comunque abbastanza singolare, considerato che una cerimonia di premiazione relativa ad un evento sportivo comunque svoltosi non escluderebbe ovviamente la possibilità di rivedere – come accaduto varie volte nella storia dei Giochi olimpici – i risultati sportivi alla luce di squalifiche intervenute successivamente.

*Alberto Orlando (nella foto sotto), nato a Casarano il 27.03.1993, è ricercatore (RTDa) di Diritto pubblico comparato presso l’Università del Salento. Si occupa di diritto comparato dello sport, intelligenza artificiale e sostenibilità delle società sportive. Ha conseguito presso la stessa Università la Laurea con lode in Giurisprudenza e il Dottorato di ricerca.

 


 

venerdì 11 febbraio 2022

PREMIO DI LAUREA ANTONIO MAGLIO 2021

PREMIO DI LAUREA ANTONIO MAGLIO 2021

Il premio di laurea, di 10mila euro, è destinato a laureati, laureandi o specializzandi che abbiano consegnato o discusso la tesi di laurea nell’a.a. 2020/2021 sul tema dello sport come strumento di integrazione, inclusione sociale e benessere psico-fisico per le persone con disabilità.

lunedì 31 gennaio 2022

Istruttori dilettanti ed obblighi previdenziali. Non sempre .... Intervento di Domenico Zinnari *

Sono state pubblicate nell’arco  di poco più di trenta giorni una serie di Sentenze della Sezione Lavoro della Suprema Corte di Cassazione  (Sentenze n. 41397/2021; 41467/2021; 41418/2021; 41419/2021; 41420/2021; 41468/2021; 41570/2021; 41729/2021; 175/2022; 177/2022; 952/2022; 953/2022; 954/2022). che, con motivazioni sostanzialmente omologhe nell’impianto,  affrontano la vexata quaestio della soggezione a contribuzione previdenziale dei rapporti tra istruttori e società o associazioni  sportive dilettantistiche.

In particolare le su menzionate pronunce  offrono una articolata riflessione, preceduta da ampio excursus  in ordine all’evoluzione normativa in subiecta materia, circa i limiti di applicazione della previsione contenuta nell'art. 67 TUIR, primo comma lettera m) e dei suoi effetti eccettuativi anche rispetto all’ obbligo contributivo previdenziale.

Secondo la Suprema Corte difatti:” non risultano soggette agli obblighi predetti le prestazioni, se compensate nei limiti monetari di cui all'art. 69 TUIR, relative alla formazione, alla didattica, alla preparazione ed all'assistenza all'attività sportiva dilettantistica (art. 35, comma 5, D.L. n. 207/2008 conv. in L. n. 14 del 2009) a condizione che chi invoca l'esenzione, con accertamento rimesso al giudice di merito, dimostri che:

  • le prestazioni rese non siano compensate in relazione all'attività di offerta del servizio sportivo svolta da lavoratori autonomi o da imprese commerciali o da società in nome collettivo e in accomandita semplice, né in relazione alla qualità di lavoratore dipendente assunta dal prestatore (art. 67 primo comma TUIR);
  • tali prestazioni siano rese in favore di associazioni o società che non solo risultano qualificate come dilettantistiche, ma che in concreto posseggono tale requisito di natura sostanziale, ossia svolgono effettivamente l'attività senza fine di lucro e, quindi, operano concretamente in modo conforme a quanto indicato nelle clausole dell'atto costitutivo e dello statuto, il cui onere probatorio ricade sulla parte contribuente, e non può ritenersi soddisfatto dal dato del tutto neutrale dell'affiliazione ad una federazione sportiva o al CONI; 
  • le prestazioni siano rese nell'esercizio diretto di attività sportive dilettantistiche e cioè che siano rese in ragione del vincolo associativo esistente tra il prestatore e l'associazione o società dilettantistica, restando esclusa la possibilità che si tratti di prestazioni collegate all'assunzione di un distinto obbligo personale; 
  • il soggetto che rende la prestazione e riceve il compenso non svolga tale attività con carattere di professionalità e cioè in corrispondenza all' arte o professione abitualmente esercitata anche se in modo non esclusivo (art. 53 TUIR). Le pronunce, che pure paiono superare talune posizioni.”

Ai link di seguito indicati tre  delle tredici sentenze.

http://www.italgiure.giustizia.it/xway/application/nif/clean/hc.dll?verbo=attach&db=snciv&id=./20211223/snciv@sL0@a2021@n41397@tS.clean.pdf

http://www.italgiure.giustizia.it/xway/application/nif/clean/hc.dll?verbo=attach&db=snciv&id=./20211224/snciv@sL0@a2021@n41467@tS.clean.pdf

http://www.italgiure.giustizia.it/xway/application/nif/clean/hc.dll?verbo=attach&db=snciv&id=./20211227/snciv@sL0@a2021@n41570@tS.clean.pdf

 

*Avvocato Domenico Zinnari (nella foto sotto) del Foro di Lecce esperto di Diritto Sportivo