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SNL SPORT LAW AND MANAGEMENT - Il blog ufficiale del Corso di Laurea Unisalento in Diritto e Management dello Sport

venerdì 21 gennaio 2022

IL CODACONS TRA LA MANCANZA DI LEGITTIMAZIONE PROCESSUALE ATTIVA E UNA “SCIATTA” CONOSCENZA DELLE REGOLE: MILAN – SPEZIA NON PUO’ ESSERE RIPETUTA. Intervento del Dott. Francesco Albione

Negli ultimi giorni, in tutte le principali testate giornalistiche sportive si è fatto riferimento a quanto è accaduto nella gara tra Milan e Spezia, valida per la ventiduesima giornata del campionato di Serie A.

Quasi tutti i lettori avranno già compreso che l’episodio richiamato sia quello (sfortunato) in cui si è “ritrovato” il direttore di gara della partita in questione.

In questo breve articolo, tuttavia, non verrà analizzato in modo “giornalistico” detto episodio: nei giorni precedenti è già stato scritto parecchio, anche a sproposito.

I “fisiologici” commenti presenti sui giornali, però, non hanno destato scalpore, seguendo la loro normale parabola, volta a polemizzare per poi scemare nell’arco di poco tempo.

Ciò che ha, invece, lasciato davvero “senza parole”, sono state le dichiarazioni rilasciate dal Codacons: «si tratta, senza dubbio alcuno, di un errore tecnico clamoroso (…)» e ancora «chiederemo alla F.I.G.C. formalmente la ripetizione della partita, a tutela del regolare svolgimento della competizione sportiva […] e dei tifosi, i quali hanno diritto ad assistere ad uno spettacolo sportivo esente da errori tecnici».

Per chi non lo sapesse, il Coordinamento delle associazioni per la difesa dell’ambiente e dei diritti degli utenti e dei consumatori (o semplicemente Codacons) è un’associazione senza fini di lucro, la quale, dal 1986, tutela, facendo ricorso soprattutto allo strumento giudiziario «diritti e (…) interessi di consumatori ed utenti (…) nei confronti dei soggetti pubblici e privati produttori e/o erogatori di beni e servizi (…). L’Associazione, inoltre, tutela i diritti e gli interessi individuali e collettivi dei consumatori e degli utenti, nei confronti di qualsiasi soggetto, promuovendo azioni giudiziarie o intervenendo in giudizi civili e penali, attraverso la costituzione di parte civile per il risarcimento del danno derivante dalla lesione di interessi collettivi concernenti le finalità perseguite dall'Associazione» (art. 2 Statuto Codacons).

Questa doverosa precisazione sulla natura giuridica e sulle attività svolte dal Codacons era necessaria per comprendere appieno il sentimento di stupore che hanno causato le richiamate dichiarazioni sull’episodio avvenuto in Milan – Spezia: è possibile che un’associazione con una tale tradizione “si lasci andare” a commenti di questa entità, facendo così intravedere una totale superficialità e assenza di cognizione su ciò di cui parla? Evidentemente sì.

Si proverà, dunque, a chiarire dalla prospettiva giuridica e tecnico - calcistica le (indubbiamente) incomprensibili ragioni, che hanno determinato il Codacons ad affermare quanto sopra riportato sulla questione, chiarendo i numerosi e lapalissiani errori commessi dall’associazione nelle dichiarazioni rilasciate.

Il primo aspetto rilevante da analizzare riguarda le modalità di cui il Codacons dovrebbe avvalersi per riuscire a realizzare quanto dichiarato, ovvero la ripetizione della partita.

Per giungere alla realizzazione di tale fine, l’associazione dovrebbe adire gli organi della giustizia sportiva, gli unici ad avere giurisdizione su questa tipologia di controversie.

Tuttavia, per quanto lineare possa sembrare questo iter, è necessario prendere in considerazione un aspetto ben determinato il quale, nella questione in esame, rappresenta un impedimento di non poco conto: il Codacons, infatti, non è in possesso della legittimazione processuale attiva innanzi agli organi della giustizia sportiva.

In altre parole, il Codacons non ha la capacità di agire in giudizio per far valere né un proprio diritto né, come sarebbe in questo caso, per essere portatore, innanzi agli organi giurisdizionali istituiti all’interno dell’ordinamento sportivo, dei diritti dei propri tesserati (dei quali l’associazione intende farsi portavoce), ovvero del diritto dei tifosi ad assistere alle competizioni sportive esenti da “errori tecnici”. 

Tralasciando il discorso che verte sull’effettiva sussistenza di detto diritto, per meglio recepire quello inerente al difetto di legittimazione attiva del Codacons, è utile richiamare la decisione n. 6/2014 dell’Alta Corte di Giustizia Sportiva (organo della giustizia sportiva istituito presso il CONI nel 2007, il quale, in seguito ad una riforma intervenuta nel 2014 nello stesso sistema, è stato soppresso. Oggi le sue funzioni sono state attribuite al Collegio di Garanzia, sempre istituito presso il CONI).

In detta decisione, è stato stabilito che il ricorso del Codacons, intervenuto come terzo in quel giudizio, era da ritenersi inammissibile, appunto, per difetto di legittimazione attiva.

Le argomentazioni addotte dall’organo della giustizia sportiva a suffragio della sua tesi sono assai convincenti, trovando il loro fondamento nel testo di una norma statale, la quale regola direttamente i rapporti che intercorrono tra l’ordinamento sportivo e l’ordinamento dello Stato, ovvero tra gli organi della giustizia sportiva e quelli della giustizia statale: il fondamentale d.lgs. n. 220/2003, poi convertito nella l. n. 280/2003.

Prima di richiamare espressamente gli articoli del citato d.lgs., l’Alta Corte di Giustizia Sportiva ha condotto una premessa sulla natura giuridica degli ordinamenti “particolari”, interni allo Stato (così come risulta essere l’ordinamento sportivo), i quali, solitamente, sono dotati di una giurisdizione “domestica”, una giurisdizione, cioè,  «che ha come ambito soggettivo esclusivamente gli appartenenti all’ordinamento, e, da un punto di vista oggettivo, l’inerenza della controversia all’attività e alle relazioni proprie dell’ordinamento stesso̱» (decisione n. 6/2014 dell’Alta Corte di Giustizia Sportiva).

L’Alta Corte ha voluto, cioè, ribadire e sottolineare la sussistenza dell’esclusione di qualsiasi legittimazione ad adire la giurisdizione sportiva, da parte di tutti i soggetti estranei allo stesso ordinamento sportivo.

La pronuncia in parola riporta poi un articolato ragionamento (che non verrà approfondito, non essendo questa la sede opportuna) sul rapporto intercorrente tra la giurisdizione sportiva e statale e, in particolare, sul complesso sistema delle tutele offerte ai soggetti che, non facendo parte dell’ordinamento sportivo, non possono, è bene ribadirlo, adire gli organi della giustizia sportiva.

Ed è proprio richiamando le considerazioni inserite nel percorso logico di cui sopra, che l’Alta Corte conclude «in senso negativo [dando una ulteriore ed espressa conferma ad un orientamento consolidatosi da anni, anche nella giurisprudenza della Corte Costituzionale] la questione se un soggetto estraneo possa essere legittimato ad adire una giurisdizione dell'ordinamento sportivo dotato di piena autonomia, ordinamento che, come accennato, ha tra le sue peculiarità quella di giudicare controversie in cui siano parti esclusivamente soggetti appartenenti a detto specifico ordinamento».

Una volta chiarita la mancanza del fondamentale presupposto processuale (la legittimazione processuale attiva), verrà condotta ora un’analisi della c.d. “regola del vantaggio”, richiamando direttamente gli articoli e le differenti sezioni che compongono il Regolamento del Giuoco del Calcio, corredato dalle decisioni ufficiali FIGC e dalla Guida Pratica AIA, per chiarire, in modo definitivo, quale sia la natura di un eventuale errore, da parte di un ufficiale di gara, nell’applicazione del vantaggio durante lo svolgimento di una gara: valutazione discrezionale o errore tecnico?

Innanzi tutto, bisogna effettuare una distinzione tra questi ultimi due concetti: i c.d. “errori arbitrali” su valutazioni lasciate alla discrezione dei direttori di gara (ad es. l’errata valutazione di un fuorigioco) non comportano in nessun caso la ripetizione di una partita; a contrario, un errore tecnico (come può essere, ad es., il non punire con un calcio di punizione indiretto l’infrazione che si concretizza nel momento in cui lo stesso giocatore che ha battuto un calcio di rigore, dopo che il pallone ha impattato sulla traversa, senza il tocco di nessun altro giocatore, avversario o suo compagno di squadra che sia, ritocca nuovamente il pallone) porterà inevitabilmente, se non rilevato e sanzionato correttamente, alla ripetizione della partita nel corso della quale questo è stato commesso.

Secondo quanto affermato dal Codacons, nelle dichiarazioni di qualche giorno fa, l’errore commesso nell’applicazione del vantaggio, durante lo svolgimento di un’azione, dovrebbe comportare la ripetizione della gara (in questo caso, la ripetizione di Milan – Spezia).

Tuttavia, da una attenta lettura del Regolamento del Giuoco del Calcio, così come aggiornato nella sua versione più recente, emerge in maniera inequivocabile come l’applicazione del “vantaggio” sia uno strumento che l’arbitro “può”, si badi, non “deve” utilizzare, al fine di consentire «che il gioco prosegua quando un’infrazione viene commessa e la squadra avversaria del colpevole trarrà beneficio dal vantaggio (…)». (Regola n. 5 del Regolamento, pag. 44)

Questa è solo la prima definizione che il Regolamento fornisce riguardo l’utilità del vantaggio.

Infatti, nella sezione dedicata alla Guida Pratica AIA della stessa Regola n. 5, a pag. 58, è riportata, in maniera esplicita, la domanda «Quando e come deve essere applicato il “vantaggio”?». La risposta recita che «l’arbitro deve lasciar proseguire il gioco in presenza di un’infrazione, nei casi evidenti in cui ritiene che interrompendolo risulterebbe avvantaggiata la squadra che ha commesso l’infrazione stessa. Qualora il presunto vantaggio non si concretizzi nell’immediatezza (entro 1-2 secondi), l’arbitro interromperà il gioco e punirà l’infrazione iniziale (…)».

L’arbitro «deve lasciar proseguire il gioco (…)  nei casi (…) in cui ritiene»: più chiaro di così!

Ove ancora dovessero celarsi dubbi sulla natura di valutazione discrezionale dell’applicazione del “vantaggio” da parte dell’arbitro, a pag. 143 del Regolamento del Giuoco del Calcio, nella sezione dedicata al “Body language, comunicazione e uso del fischietto”, si legge che «l’arbitro può applicare il vantaggio ogni volta che si verifica un’infrazione (…)»: ancora una conferma della non riconducibilità di un “errore arbitrale”, nell’applicazione di questo precetto, nella categoria dell’errore tecnico.

Dunque, le dichiarazioni rilasciate dal Codacons, che invocano la ripetizione della gara Milan – Spezia come una conseguenza fisiologica di un “errore arbitrale” inerente all’applicazione del “vantaggio”, sono in assoluto contrasto con la natura (assolutamente discrezionale) di quest’ultimo: l’unico dato certo che emerge in questa vicenda è, purtroppo e ancora una volta, una inesistente conoscenza delle norme che regolano il giuoco del calcio.

Si può affermare, così, che, anche al netto della mancanza di legittimazione processuale attiva da parte del Codacons (e, quindi, anche nel caso in cui si facesse per un attimo finta che tale associazione possa adire gli organi della giustizia sportiva), il ricorso da questo presentato non avrebbe avuto un esito positivo, ma avrebbe sicuramente suscitato ilarità: Milan – Spezia, così come una qualsiasi gara di calcio, secondo quanto riportato dal Regolamento, non può, in nessun caso, essere ripetuta qualora il direttore di gara commetta un errore di previsione nell’applicazione del “vantaggio”, rientrando questa, è bene ripeterlo fino alla fine, nella sua sfera di valutazioni discrezionali.

  (nella foto sotto l'autore dell'intevrento)




giovedì 20 gennaio 2022

Il regolare svolgimento del campionato di serie A tra circolari ministeriali e protocolli: puntata decisiva? Intervento di Alberto Orlando*

Come già commentato in questo blog, il campionato di calcio di serie A è stato sottoposto nelle ultime settimane al forte stress derivante dall’aumento dei contagi tra i tesserati delle società: si sono accavallati provvedimenti interdittivi delle ASL, rinunce alla disputa delle partite, protocolli degli organismi sportivi, pronunce del Giudice sportivo.

Il clima di totale incertezza intorno al regolare svolgimento del campionato ha indotto la Lega calcio ad approvare frettolosamente un apposito protocollo e, soprattutto, ha stimolato il dibattito a livello ministeriale, ossia al di fuori del solo perimetro istituzionale sportivo. Proprio il Ministero della Salute, basandosi su un parere espresso dal Comitato Tecnico Scientifico, ha emanato il 18 gennaio una circolare (avente come oggetto “indicazioni per garantire il corretto svolgimento delle competizioni sportive”. Premesso che questa circolare trova quindi applicazione nelle competizioni sportive professionistiche e nei massimi campionati dilettantistici di tutti gli sport, pare interessante analizzare – visto anche l’interesse mediatico emerso attorno alla questione – come essa si raccordi al recente protocollo approvato dalla Lega calcio, volto anche quello a garantire il regolare svolgimento del campionato di serie A. Occorre subito precisare che questi atti, come non potrebbe essere altrimenti, si rivolgono ad interlocutori diversi: la circolare ministeriale è principalmente indirizzata a tutte le amministrazioni centrali e territoriali; il protocollo della Lega, invece, non può che riguardare solo e soltanto le società di calcio di serie A.

Il nuovo protocollo della Lega, approvato il 6 gennaio scorso (CU n. 126 del 6 gennaio 2022), coerentemente con le regole fatte proprie dall’UEFA (cfr. Allegato I al regolamento della Champions League 2021/22), stabilisce l’obbligo di scendere in campo per le squadre con 13 calciatori (di cui almeno un portiere), iscritti nelle rose di Prima squadra o Primavera e nati entro il 31 dicembre 2003, risultati negativi ai test COVID il giorno precedente la gara. Come già osservato in questo blog, il protocollo tenta di porre almeno parziale rimedio alla lacunosità del quadro regolamentare generale: lo Statuto-Regolamento della Lega calcio, infatti, non disciplina specifiche ipotesi di rinvio delle gare, ma si limita a stabilire che “è […] in facoltà del Presidente disporre, sia d’ufficio sia a seguito di richiesta di una o di entrambe le Società Associate interessate, la variazione di data, dell’ora di inizio e del campo delle singole gare” (art. 29). Tuttavia, al di là di alcune questioni interpretative che potrebbero venire in rilievo (ad es. sulla effettiva “disponibilità” dei calciatori negativi, o sul termine ultimo entro cui eseguire i tamponi), il protocollo non sembrava in grado di risolvere definitivamente il problema, poiché il blocco di un intero gruppo squadra da parte delle ASL, facendo scendere il numero di calciatori “disponibili” sotto la soglia numerica prevista, avrebbe di fatto riproposto gli stessi problemi, ossia la mancata disputa delle gare di campionato. Come appare chiaro, né la Lega calcio né qualsiasi altro organo sportivo federale avrebbe mai potuto “disciplinare” gli interventi delle ASL, sempre in grado di disporre la quarantena per tutti i tesserati e, di conseguenza, il divieto di partecipare a competizioni sportive.

Proprio per questi motivi è intervenuta la circolare ministeriale di cui sopra. Con essa, innanzitutto, si offrono alle competenti autorità sanitarie importanti chiarimenti sulla interpretazione in ambito sportivo delle norme generali relative a isolamento e quarantena, aggiornate da ultimo con il d.l. 30 dicembre 2021, n. 229. È infatti precisato che, in caso di un positivo all’interno del “gruppo squadra”, gli altri soggetti appartenenti allo stesso gruppo sono da considerarsi “contatti ad alto rischio”: pertanto, questi devono sottoporsi a test antigenico ogni giorno per almeno 5 giorni e sono obbligati ad indossare la mascherina FFP2 “in tutti i contesti in cui non viene effettuata attività sportiva”. Tale ultima precisazione appare particolarmente apprezzabile, poiché sul punto elimina alcuni dubbi interpretativi. La lettera del d.l 229/2021 impone, infatti, ai “contatti stretti” che si trovino in un determinato stato vaccinale (dose booster, guarigione ottenuta o vaccinazione completata da meno di 120 giorni), senza alcuna eccezione, l’obbligo di indossare la mascherina: alla luce della circolare appena emanata, invece, in ambito sportivo tale disposizione deve essere interpretata nel senso che comunque non comporta l’impossibilità di partecipare ad una gara sportiva senza – ovviamente – indossare la mascherina per il tempo necessario. In ogni caso, la circolare prescrive, come condizione per la partecipazione all’evento sportivo, che venga effettuato un test antigenico con esito negativo almeno 4 ore prima della gara.

Il protocollo appena descritto – come specifica la stessa circolare – “si applica indipendentemente dallo stato vaccinale”. A ben vedere, è proprio questa la novità più rilevante. A differenza di quanto stabilito nel d.l. sopra citato, in ambito sportivo la condizione di contatto stretto (in questa circolare definito “contatto ad alto rischio”) non comporta conseguenze diverse a seconda dello stato vaccinale, laddove invece in via generale da questa condizione dipendono regimi differenti denominati di “auto-sorveglianza” o di “quarantena”. Per intenderci: il cittadino non vaccinato che abbia avuto contatto stretto con un positivo sarà sottoposto a quarantena, mentre lo sportivo nella stessa condizione, sempre che continui a risultare negativo ai test successivi, potrà continuare ad allenarsi e disputare gare sportive. Non sembra peregrino chiedersi se, al di fuori del contesto sportivo, il soggetto debba considerarsi o meno in quarantena: sul punto, pare doversi propendere per una risposta affermativa, quantomeno per scongiurare disuguaglianze tra sportivi e non sportivi che avrebbero del clamoroso. In ogni caso, una diversità di trattamento sussiste: ma può dirsi giustificata in ossequio al generale principio giuridico di ragionevolezza? In tutta onestà, essa sembra avere come principale (e unico?) scopo quello di garantire il regolare svolgimento delle competizioni sportive: obiettivo che, per quanto apprezzabile, fatica a rendere giustificabile un aumento del rischio per la salute degli atleti, i quali – in virtù delle misure stabilite nella circolare – potrebbero vedersi maggiormente esposti al contagio. Probabilmente il Ministero pensa di “pareggiare i conti” imponendo agli sportivi l’obbligo, non prescritto in via generale, di sottoporsi a test diagnostici per 5 giorni consecutivi, in modo da assicurare il monitoraggio e il controllo del contagio all’interno della “ristretta” cerchia del gruppo squadra. Neanche tale ragionamento, però, convince pienamente, poiché consente di fatto a un numero non trascurabile di soggetti (tutti gli atleti professionisti o appartenenti all’“alto dilettantismo”), vaccinati o meno, di continuare a svolgere attività sportiva nonostante un contatto stretto con soggetto positivo, con tutto quel che ne consegue in termini di rischi per i compagni di squadra, gli avversari e, a cascata, familiari e contatti degli stessi.

Inoltre, la circolare ministeriale interviene anche per chiarire alle competenti autorità sanitarie le condizioni per il blocco dell’intero “gruppo squadra”: questo dovrà conseguire al raggiungimento di un numero di positivi pari al 35% dei componenti del “gruppo atleti”. Tale intervento appare più che mai opportuno, perché riguarda il vero fulcro della questione e, per la prima volta, stabilisce una soglia quantitativa di positivi per l’emanazione del provvedimento interdittivo. È demandata agli organismi sportivi competenti la definizione del “gruppo atleti”, evidentemente distinta dal “gruppo squadra”, che invece può ricomprendere anche membri dello staff tecnico e dirigenziale. La FIGC, per restare al calcio, ha prontamente chiarito questo aspetto con apposito comunicato (C.U. n. 142/A del 19 gennaio 2022) in cui, con riguardo alla serie A, fa coincidere il “gruppo atleti” con la lista di massimo 25 giocatori che la società è obbligata a presentare alla Lega prima del campionato (poi aggiornabile, a determinate condizioni, durante lo svolgimento della competizione). Pertanto, in virtù della circolare ministeriale, il gruppo squadra di una società calcistica di serie A potrebbe essere bloccato dall’ASL in caso di 9 positivi (36% del gruppo atleti) e 16 negativi. Stando al protocollo della Lega calcio, invece, la società sarebbe obbligata a disputare la partita anche nel caso in cui contasse 12 positivi (e quindi 13 negativi). Residua, in sostanza, una “zona grigia”, all’interno della quale una squadra con 9-12 casi positivi potrebbe essere contemporaneamente “bloccata” dall’autorità sanitaria e obbligata a giocare ai sensi del protocollo Lega: si tornerebbe così al punto di partenza, ossia alla probabile rinuncia alla disputa della gara per invocata causa di forza maggiore (provvedimento amministrativo interdittivo) e alla susseguente decisione del Giudice sportivo, chiamato a decidere in prima istanza – secondo parametri che vanno aggiornandosi di giorno in giorno (vedi la recente decisione su Udinese-Salernitana, commentata in questo blog) – tra la sconfitta a tavolino e il recupero della gara. Se già così i conti non tornano del tutto, il quadro è ulteriormente complicato dalla possibilità, concessa dalle norme federali alle società di serie A (CU FIGC n. 83/A del 20 novembre 2014, come modificato dal C.U. FIGC n. 76 del 21 giugno 2018), di utilizzare “fuori lista” un numero illimitato di calciatori “under 22”, da aggiungersi quindi ai 25 indicati nella lista. In pratica, a quanto sembra, questi calciatori non entrerebbero nel computo del 35% del gruppo atleti di competenza dell’autorità sanitaria, mentre dovrebbero essere considerati ai fini della soglia prevista dal protocollo della Lega calcio.

Quanto appena osservato mette in luce i profili problematici che continuano a sussistere nonostante l’ultimo intervento ministeriale. È sufficiente soffermarsi sull’analisi del sistema calcio per accorgersi di come il raccordo con quanto stabilito dagli organismi sportivi non appaia ancora facile. Tuttavia, la circolare sembra muovere un passo deciso – pur criticabile in qualche passaggio – verso la ricerca di un compromesso tra istituzioni politiche e sportive, probabilmente unica soluzione per conferire all’ordinamento sportivo il corretto grado di autonomia, che non può mai essere inteso in senso assoluto, riconosciuto espressamente dall’ordinamento generale.


Circolare del Ministero della Salute, Indicazioni per garantire il corretto svolgimento delle competizioni sportive, 18 gennaio 2022: 

https://www.trovanorme.salute.gov.it/norme/renderNormsanPdf?anno=2022&codLeg=85213&parte=1%20&serie=null.

Protocollo Lega calcio, C.U. n. 126 del 6 gennaio 2022, Regole relative a impatto COVID-19. Gestione casi di positività e rinvio gare:  

https://www.legaseriea.it/uploads/default/attachments/comunicati/comunicati_m/9086/files/allegati/9197/126_-_regoleimpattocovid-19.pdf?fbclid=IwAR0cEuaTS2F3fZkK8uKWxi-5eVemx9OVkDbKQYS1Z3NHlYTXNY7VZxRk2-c.


Comunicato FIGC sul “gruppo atleti”, C.U. n. 142/A del 19 gennaio 2022: 

https://www.figc.it/media/155660/definizione-gruppo-atleti.pdf.

 


 

 

 

 

 

 

 

 

 

*Alberto Orlando (nella foto sotto), nato a Casarano il 27.03.1993, è ricercatore (RTDa) di Diritto pubblico comparato presso l’Università del Salento. Si occupa di diritto comparato dello sport, intelligenza artificiale e sostenibilità delle società sportive. Ha conseguito presso la stessa Università la Laurea con lode in Giurisprudenza e il Dottorato di ricerca.


 

mercoledì 19 gennaio 2022

IL GIUDICE SPORTIVO DECIDE SU UDINESE-SALERNITANA: LA PRETESA “NEUTRALITÀ” DELLA SOCIETÀ RISPETTO AI PROVVEDIMENTI DELL’AUTORITÀ SANITARIA. Intervento di Alberto Orlando*

A distanza di quasi un mese è finalmente arrivata la decisione del Giudice sportivo sulla prima gara di questo campionato di serie A che non si è disputata causa COVID. Come noto, la partita Udinese-Salernitana, programmata per il 21 dicembre scorso, non è stata mai giocata perché l’ASL di Salerno aveva disposto la sera precedente l’incontro “la sospensione dell’attività della squadra e della partecipazione ad eventi sportivi”, unitamente all’isolamento obbligatorio dei soggetti positivi e all’osservanza della quarantena per tutti i contatti stretti, comprendenti, tra gli altri, tutti i calciatori disponibili.

Per questi motivi la Salernitana aveva rinunciato alla disputa della partita, nella convinzione che tale comportamento non potesse essere sanzionato poiché dipendente da causa di forza maggiore, ossia dal provvedimento dell’ASL competente. Come spiegato in un precedente intervento di questo blog, infatti, le sanzioni che conseguono alla rinuncia alla disputa di una gara (stabilite dall’art. 53 NOIF) non vengono comminate nel caso in cui tale rinuncia sia dovuta a causa di forza maggiore (art. 55 NOIF).

Le convinzioni della Salernitana sembravano abbastanza solide se confrontate con l’esito della celeberrima querelle Juventus-Napoli risalente a ottobre 2020, decisa addirittura dal Collegio di garanzia del CONI (decisione n. 1/2021). In quel caso, sovvertendo l’orientamento dei giudici federali, l’intervento dell’ASL che aveva “bloccato” il Napoli era stato giudicato come “factum principis”, integrante quindi la fattispecie di causa di forza maggiore e ponendosi come condizione del tutto ostativa alla partecipazione all’evento sportivo programmato: la rinuncia, quindi, era da intendersi perfettamente giustificata dal punto di vista sportivo e comportava l’inevitabile recupero della gara.

In questo caso specifico, invece, il Giudice sportivo, pur tenendo in considerazione il precedente appena richiamato, giunge a conclusioni opposte, comminando, come disposto dall’art. 53 NOIF, la sconfitta a tavolino per 0-3 e un punto di penalizzazione in classifica a carico della squadra non presentatasi all’evento sportivo. Se nella decisione si conferma che “vi è impossibilità della prestazione per il c.d. factum principis quando sopraggiungono provvedimenti di legge o di carattere amministrativo […] che rendono impossibile la prestazione dell’obbligato indipendentemente dalla sua volontà”, d’altro canto, però, si sottolinea come lo stesso factum principis non possa valere come causa di forza maggiore nel caso in cui l’obbligato alla prestazione, nei limiti segnati dal criterio dell’ordinaria diligenza, “non abbia tentato di percorrere tutte le soluzioni astrattamente possibili che gli si offrivano per superare i limiti imposti dai provvedimenti”.

Nel caso di specie, la Salernitana non avrebbe rispettato quest’ultimo principio: secondo il Giudice sportivo, che porta all’attenzione soprattutto il carteggio tenutosi via email nei giorni immediatamente precedenti la gara tra l’ASL di Salerno e la società reclamante, quest’ultima avrebbe agito, davanti ad un evento che diventava sempre meno “imprevedibile”, quasi “auspicando”, se non addirittura sollecitando, l’intervento interdittivo dell’ASL. Dal punto di vista fattuale il ragionamento del Giudice si basa, ad esempio, sulla programmazione di un volo di linea per sostenere la trasferta in luogo di un volo charter certamente più raccomandabile e, anzi, espressamente raccomandato da apposito Protocollo federale per l’emergenza COVID (Protocollo federale, vers. 4, 3 dicembre 2021, p. 16). In sintesi, quindi, la Salernitana non avrebbe messo in atto “tutte le cautele che, nel rispetto dei Protocolli e secondo i criteri dell’ordinaria diligenza, le avrebbero consentito la trasferta in «bolla» e in sicurezza del gruppo squadra”: pertanto, la società non si sarebbe dimostrata soggetto “del tutto neutrale”, destinato cioè a subire passivamente gli effetti del c.d. factum principis, ma anzi sembrerebbe aver “contribuito” in qualche modo alla genesi e alla “insuperabilità” del factum principis stesso.

La decisione del Giudice sportivo richiama principi giurisprudenziali noti e consolidati. Tuttavia, in concreto, introduce ulteriori elementi di non facile individuazione all’interno di un quadro già caotico segnato da interventi dell’ASL, mancata disputa di gare di serie A e approvazione di protocolli da parte della Lega e della Federazione. La valutazione degli elementi fattuali svolta dal Giudice sportivo appare, nei fatti, abbastanza penetrante e volta ad un’interpretazione (oltremodo?) restrittiva della “causa di forza maggiore” di cui all’art. 55 NOIF. Sindacare sotto il profilo della “ordinaria diligenza” il comportamento di una società di calcio alle prese con la difficile gestione dei primi contagi all’interno del gruppo squadra appare operazione particolarmente complessa, destinata a suscitare inevitabili polemiche nelle successive decisioni che il Giudice sportivo è chiamato ad assumere a breve per casi simili.

Come noto, infatti, Udinese-Salernitana è stata soltanto la prima gara di questo campionato a non essere stata disputata causa COVID, mentre, ad esempio, in occasione della 20^ giornata le partite non giocate a seguito di provvedimenti delle ASL sono state quattro. Per decidere su questi casi il Giudice sportivo dovrà a questo punto operare una valutazione dei fatti altrettanto dettagliata, in modo da riuscire a decifrare correttamente il comportamento della società come soggetto “neutrale” o “non neutrale” rispetto all’intervento dell’autorità sanitaria. Lo si ripete: sindacare l’operato delle società calcistiche sotto il profilo della “neutralità” rispetto agli interventi delle ASL rischia di rivelarsi compito assai problematico per il Giudice sportivo, tanto più se tale sindacato si dovesse spingere oltre – come forse accaduto già nel caso qui in esame – rispetto alla valutazione dei soli comportamenti icto oculi “non neutrali”.

Probabilmente si tratta soltanto di un capitolo di una saga ancora non vicina alla conclusione.

Ai sensi del secondo comma dello stesso art. 55 NOIF, infatti, la decisione del Giudice sportivo sulla causa di forza maggiore potrà essere valutata, a seguito di ricorso, dalla Corte Sportiva d’Appello in seconda istanza. Ma, come accaduto nel caso Juventus-Napoli sopra citato, non è escluso che sulla questione arrivi a pronunciarsi il Collegio di garanzia del CONI.

La decisione commentata è reperibile al link https://www.legaseriea.it/uploads/default/attachments/comunicati/comunicati_m/9117/files/allegati/9228/cu140.pdf

 


 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

*Alberto Orlando (nella foto sotto), nato a Casarano il 27.03.1993, è ricercatore (RTDa) di Diritto pubblico comparato presso l’Università del Salento. Si occupa di diritto comparato dello sport, intelligenza artificiale e sostenibilità delle società sportive. Ha conseguito presso la stessa Università la Laurea con lode in Giurisprudenza e il Dottorato di ricerca.

 


 

martedì 18 gennaio 2022

Intervista all' Avvocato Prof. Paolo Vinci* a cura di Pierandrea Fanigliulo*

 

 

 

Avvocato Paolo Vinci: "Le proprietà straniere sono la conseguenza dei nuovi rapporti di forza internazionali". 

*Avvocato, professore e anche giornalista, il salentino Paolo Vinci (nella foto sotto), che da anni vive a Milano ed è vicino alla società rossonera, ha spiegato perchè sarà sempre più difficile avere proprietà italiane composte dai cosiddetti "presidenti-tifosi" vicini al territorio.


 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

*Pierandrea Fanigliulo (nella foto sotto), leccese nato a Galatina il 11-067-1984 e residente a Lecce. Laureato, presso l'Università del Salento, in Scienze della Comunicazione e successivamente in Economia delle attività turistiche e culturali. Dal 2019 giornalista iscritto all'albo. Collaboro con il Corriere Salentino con il quale, tra l'altro, conduco nel Nord Italia, il format web/TV "Da Sud a Nord andata a ritorno" per il quale sono stato premiato dalla Provincia di Lecce e dall'Università del Salento, direttamente dal Magnifico Rettore. Ideatore e fondatore del sito web, a tema sportivo, www.ilfani.it. Autore del libro, uscito il 15 ottobre 2021, "Il volo di Aracne. Dall'alba al tramonto", presentato anche presso il Salone Internazionale del libro di Torino 2021, a Roma alla fiera dell'editoria italiana "Più libri più liberi" e presente nel contest scolastico "Io Leggo Perchè".