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venerdì 21 gennaio 2022

IL CODACONS TRA LA MANCANZA DI LEGITTIMAZIONE PROCESSUALE ATTIVA E UNA “SCIATTA” CONOSCENZA DELLE REGOLE: MILAN – SPEZIA NON PUO’ ESSERE RIPETUTA. Intervento del Dott. Francesco Albione

Negli ultimi giorni, in tutte le principali testate giornalistiche sportive si è fatto riferimento a quanto è accaduto nella gara tra Milan e Spezia, valida per la ventiduesima giornata del campionato di Serie A.

Quasi tutti i lettori avranno già compreso che l’episodio richiamato sia quello (sfortunato) in cui si è “ritrovato” il direttore di gara della partita in questione.

In questo breve articolo, tuttavia, non verrà analizzato in modo “giornalistico” detto episodio: nei giorni precedenti è già stato scritto parecchio, anche a sproposito.

I “fisiologici” commenti presenti sui giornali, però, non hanno destato scalpore, seguendo la loro normale parabola, volta a polemizzare per poi scemare nell’arco di poco tempo.

Ciò che ha, invece, lasciato davvero “senza parole”, sono state le dichiarazioni rilasciate dal Codacons: «si tratta, senza dubbio alcuno, di un errore tecnico clamoroso (…)» e ancora «chiederemo alla F.I.G.C. formalmente la ripetizione della partita, a tutela del regolare svolgimento della competizione sportiva […] e dei tifosi, i quali hanno diritto ad assistere ad uno spettacolo sportivo esente da errori tecnici».

Per chi non lo sapesse, il Coordinamento delle associazioni per la difesa dell’ambiente e dei diritti degli utenti e dei consumatori (o semplicemente Codacons) è un’associazione senza fini di lucro, la quale, dal 1986, tutela, facendo ricorso soprattutto allo strumento giudiziario «diritti e (…) interessi di consumatori ed utenti (…) nei confronti dei soggetti pubblici e privati produttori e/o erogatori di beni e servizi (…). L’Associazione, inoltre, tutela i diritti e gli interessi individuali e collettivi dei consumatori e degli utenti, nei confronti di qualsiasi soggetto, promuovendo azioni giudiziarie o intervenendo in giudizi civili e penali, attraverso la costituzione di parte civile per il risarcimento del danno derivante dalla lesione di interessi collettivi concernenti le finalità perseguite dall'Associazione» (art. 2 Statuto Codacons).

Questa doverosa precisazione sulla natura giuridica e sulle attività svolte dal Codacons era necessaria per comprendere appieno il sentimento di stupore che hanno causato le richiamate dichiarazioni sull’episodio avvenuto in Milan – Spezia: è possibile che un’associazione con una tale tradizione “si lasci andare” a commenti di questa entità, facendo così intravedere una totale superficialità e assenza di cognizione su ciò di cui parla? Evidentemente sì.

Si proverà, dunque, a chiarire dalla prospettiva giuridica e tecnico - calcistica le (indubbiamente) incomprensibili ragioni, che hanno determinato il Codacons ad affermare quanto sopra riportato sulla questione, chiarendo i numerosi e lapalissiani errori commessi dall’associazione nelle dichiarazioni rilasciate.

Il primo aspetto rilevante da analizzare riguarda le modalità di cui il Codacons dovrebbe avvalersi per riuscire a realizzare quanto dichiarato, ovvero la ripetizione della partita.

Per giungere alla realizzazione di tale fine, l’associazione dovrebbe adire gli organi della giustizia sportiva, gli unici ad avere giurisdizione su questa tipologia di controversie.

Tuttavia, per quanto lineare possa sembrare questo iter, è necessario prendere in considerazione un aspetto ben determinato il quale, nella questione in esame, rappresenta un impedimento di non poco conto: il Codacons, infatti, non è in possesso della legittimazione processuale attiva innanzi agli organi della giustizia sportiva.

In altre parole, il Codacons non ha la capacità di agire in giudizio per far valere né un proprio diritto né, come sarebbe in questo caso, per essere portatore, innanzi agli organi giurisdizionali istituiti all’interno dell’ordinamento sportivo, dei diritti dei propri tesserati (dei quali l’associazione intende farsi portavoce), ovvero del diritto dei tifosi ad assistere alle competizioni sportive esenti da “errori tecnici”. 

Tralasciando il discorso che verte sull’effettiva sussistenza di detto diritto, per meglio recepire quello inerente al difetto di legittimazione attiva del Codacons, è utile richiamare la decisione n. 6/2014 dell’Alta Corte di Giustizia Sportiva (organo della giustizia sportiva istituito presso il CONI nel 2007, il quale, in seguito ad una riforma intervenuta nel 2014 nello stesso sistema, è stato soppresso. Oggi le sue funzioni sono state attribuite al Collegio di Garanzia, sempre istituito presso il CONI).

In detta decisione, è stato stabilito che il ricorso del Codacons, intervenuto come terzo in quel giudizio, era da ritenersi inammissibile, appunto, per difetto di legittimazione attiva.

Le argomentazioni addotte dall’organo della giustizia sportiva a suffragio della sua tesi sono assai convincenti, trovando il loro fondamento nel testo di una norma statale, la quale regola direttamente i rapporti che intercorrono tra l’ordinamento sportivo e l’ordinamento dello Stato, ovvero tra gli organi della giustizia sportiva e quelli della giustizia statale: il fondamentale d.lgs. n. 220/2003, poi convertito nella l. n. 280/2003.

Prima di richiamare espressamente gli articoli del citato d.lgs., l’Alta Corte di Giustizia Sportiva ha condotto una premessa sulla natura giuridica degli ordinamenti “particolari”, interni allo Stato (così come risulta essere l’ordinamento sportivo), i quali, solitamente, sono dotati di una giurisdizione “domestica”, una giurisdizione, cioè,  «che ha come ambito soggettivo esclusivamente gli appartenenti all’ordinamento, e, da un punto di vista oggettivo, l’inerenza della controversia all’attività e alle relazioni proprie dell’ordinamento stesso̱» (decisione n. 6/2014 dell’Alta Corte di Giustizia Sportiva).

L’Alta Corte ha voluto, cioè, ribadire e sottolineare la sussistenza dell’esclusione di qualsiasi legittimazione ad adire la giurisdizione sportiva, da parte di tutti i soggetti estranei allo stesso ordinamento sportivo.

La pronuncia in parola riporta poi un articolato ragionamento (che non verrà approfondito, non essendo questa la sede opportuna) sul rapporto intercorrente tra la giurisdizione sportiva e statale e, in particolare, sul complesso sistema delle tutele offerte ai soggetti che, non facendo parte dell’ordinamento sportivo, non possono, è bene ribadirlo, adire gli organi della giustizia sportiva.

Ed è proprio richiamando le considerazioni inserite nel percorso logico di cui sopra, che l’Alta Corte conclude «in senso negativo [dando una ulteriore ed espressa conferma ad un orientamento consolidatosi da anni, anche nella giurisprudenza della Corte Costituzionale] la questione se un soggetto estraneo possa essere legittimato ad adire una giurisdizione dell'ordinamento sportivo dotato di piena autonomia, ordinamento che, come accennato, ha tra le sue peculiarità quella di giudicare controversie in cui siano parti esclusivamente soggetti appartenenti a detto specifico ordinamento».

Una volta chiarita la mancanza del fondamentale presupposto processuale (la legittimazione processuale attiva), verrà condotta ora un’analisi della c.d. “regola del vantaggio”, richiamando direttamente gli articoli e le differenti sezioni che compongono il Regolamento del Giuoco del Calcio, corredato dalle decisioni ufficiali FIGC e dalla Guida Pratica AIA, per chiarire, in modo definitivo, quale sia la natura di un eventuale errore, da parte di un ufficiale di gara, nell’applicazione del vantaggio durante lo svolgimento di una gara: valutazione discrezionale o errore tecnico?

Innanzi tutto, bisogna effettuare una distinzione tra questi ultimi due concetti: i c.d. “errori arbitrali” su valutazioni lasciate alla discrezione dei direttori di gara (ad es. l’errata valutazione di un fuorigioco) non comportano in nessun caso la ripetizione di una partita; a contrario, un errore tecnico (come può essere, ad es., il non punire con un calcio di punizione indiretto l’infrazione che si concretizza nel momento in cui lo stesso giocatore che ha battuto un calcio di rigore, dopo che il pallone ha impattato sulla traversa, senza il tocco di nessun altro giocatore, avversario o suo compagno di squadra che sia, ritocca nuovamente il pallone) porterà inevitabilmente, se non rilevato e sanzionato correttamente, alla ripetizione della partita nel corso della quale questo è stato commesso.

Secondo quanto affermato dal Codacons, nelle dichiarazioni di qualche giorno fa, l’errore commesso nell’applicazione del vantaggio, durante lo svolgimento di un’azione, dovrebbe comportare la ripetizione della gara (in questo caso, la ripetizione di Milan – Spezia).

Tuttavia, da una attenta lettura del Regolamento del Giuoco del Calcio, così come aggiornato nella sua versione più recente, emerge in maniera inequivocabile come l’applicazione del “vantaggio” sia uno strumento che l’arbitro “può”, si badi, non “deve” utilizzare, al fine di consentire «che il gioco prosegua quando un’infrazione viene commessa e la squadra avversaria del colpevole trarrà beneficio dal vantaggio (…)». (Regola n. 5 del Regolamento, pag. 44)

Questa è solo la prima definizione che il Regolamento fornisce riguardo l’utilità del vantaggio.

Infatti, nella sezione dedicata alla Guida Pratica AIA della stessa Regola n. 5, a pag. 58, è riportata, in maniera esplicita, la domanda «Quando e come deve essere applicato il “vantaggio”?». La risposta recita che «l’arbitro deve lasciar proseguire il gioco in presenza di un’infrazione, nei casi evidenti in cui ritiene che interrompendolo risulterebbe avvantaggiata la squadra che ha commesso l’infrazione stessa. Qualora il presunto vantaggio non si concretizzi nell’immediatezza (entro 1-2 secondi), l’arbitro interromperà il gioco e punirà l’infrazione iniziale (…)».

L’arbitro «deve lasciar proseguire il gioco (…)  nei casi (…) in cui ritiene»: più chiaro di così!

Ove ancora dovessero celarsi dubbi sulla natura di valutazione discrezionale dell’applicazione del “vantaggio” da parte dell’arbitro, a pag. 143 del Regolamento del Giuoco del Calcio, nella sezione dedicata al “Body language, comunicazione e uso del fischietto”, si legge che «l’arbitro può applicare il vantaggio ogni volta che si verifica un’infrazione (…)»: ancora una conferma della non riconducibilità di un “errore arbitrale”, nell’applicazione di questo precetto, nella categoria dell’errore tecnico.

Dunque, le dichiarazioni rilasciate dal Codacons, che invocano la ripetizione della gara Milan – Spezia come una conseguenza fisiologica di un “errore arbitrale” inerente all’applicazione del “vantaggio”, sono in assoluto contrasto con la natura (assolutamente discrezionale) di quest’ultimo: l’unico dato certo che emerge in questa vicenda è, purtroppo e ancora una volta, una inesistente conoscenza delle norme che regolano il giuoco del calcio.

Si può affermare, così, che, anche al netto della mancanza di legittimazione processuale attiva da parte del Codacons (e, quindi, anche nel caso in cui si facesse per un attimo finta che tale associazione possa adire gli organi della giustizia sportiva), il ricorso da questo presentato non avrebbe avuto un esito positivo, ma avrebbe sicuramente suscitato ilarità: Milan – Spezia, così come una qualsiasi gara di calcio, secondo quanto riportato dal Regolamento, non può, in nessun caso, essere ripetuta qualora il direttore di gara commetta un errore di previsione nell’applicazione del “vantaggio”, rientrando questa, è bene ripeterlo fino alla fine, nella sua sfera di valutazioni discrezionali.

  (nella foto sotto l'autore dell'intevrento)




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